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domenica 27 febbraio 2011

CULTURA BY NIGHT, CULTURA GOODNIGHT


Indubbiamente questa città dai mille volti e dalle mille contraddizioni riesce occasionalmente a stupire i suo cittadini chiamando a raccolta forze ed impegno per organizzare un grande evento culturale. L'iniziativa nasce due anni or sono quando l'allora assessore comunale alla cultura ebbe la geniale intuizione di istituire una notte bianca all'insegna delle più svariate manifestazioni ed eventi di stampo culturale atti a richiamare l'attenzione di tutta la cittadinanza, distratta quotidianamente dalla frenetica routine.

Anche quest'anno l'impegno profuso nella creazione di quello che sembrerebbe essere il più importante - ed unico - evento di un certo livello in città, è stato notevole e vedrà la sua realizzazione, come negli anni passati, a ridosso di San Valentino; a quanto pare il momento più adatto per riscoprire l'amore per la cultura. Così dopo “Rubens vede Caravaggio” e “La vucciria” di Guttuso stavolta toccherà ai “doppi di Caravaggio” il compito di attirare migliaia di messinesi che, piazzata la macchina in doppia fila (anche questa è cultura), si riverseranno per le vie del centro a fare man bassa di opere d'arte dopo un digiuno durato un anno.

Nello specifico, la mostra avrà luogo all'interno del Palacultura che dopo 40 anni di attesa finalmente apre le sue porte, anche se solo per grandi eventi o per essere destinato a scopi non proprio adeguati alla sua natura, come l’utilizzo di alcuni spazi riservati a uffici pubblici o ad un distaccamento di vigili urbani! La nottata del 12 Febbraio sarà senza dubbio un momento atteso dai cittadini e calorosamente pubblicizzato dalla Giunta comunale, la stessa che dovrebbe permettere al messinese affamato di eventi ed opportunità di arricchimento e condivisione, di poter usufruire con regolarità di questi ultimi. Come? Ad esempio promuovendo gli spazi che restano inesorabilmente chiusi nel disinteresse generale e da qui favorire lo sviluppo di iniziative periodiche che permettano, non solo ai messinesi, ma anche ai turisti ( previsti nel 2011 450.000 arrivi solo dalle navi crociera), di vivere la città ed i suoi tesori nascosti (o trascurati).

Alcuni esempi lampanti sono il Museo Regionale la cui ristrutturazione sarà celermente eseguita in un paio di decenni, la zona falcata con i suoi pregevoli monumenti impastoiata dalla solita burocrazia, la cripta del Duomo, la galleria Vittorio Emanuele, la galleria INPS e tanti altri; dunque ben venga la notte della cultura, ma che non sia questo solo uno sporadico evento destinato inevitabilmente a prendere, per i più, le forme di una festa di paese.

Giulia Zanella
Giancarlo Raffa

L'ITALIA DOVREBBE ESSERE UN PAESE FONDATO SUL LAVORO


Sottoponendo ad un attento vaglio il mondo del lavoro, emergono in maniera evidente le mille crepe di un sistema che ha reso l'uomo sempre più schiavo di quello che doveva essere uno strumento atto a nobilitarlo, un mezzo per migliorarne l'esistenza, un contorno, non il fine. Invece, ci si ritrova in una società in cui sembra non esserci altro. Sempre più persone passano freneticamente da un'occupazione all'altra, affannati e insoddisfatti, col peso di mutui e prestiti sulle spalle, che a piccole gocce di sangue e sudore dovranno ripagare restando comunque più poveri di prima, senza alcuna stabilità, assumendo talvolta l'aspetto di uomini-macchine.

Partendo dallo studente-lavoratore, passando al neolaureato per finire al soggetto dotato di specifica qualifica tecnica, la situazione cambia poco. Offerte che sono apparentemente interessanti, ma che celano sempre il medesimo inganno: in primis la precarietà del posto, l'assenza totale di un contratto, paga minima e orari disumani. Tutto ciò in violazione delle fondamentali norme poste a tutela dei lavoratori, tenute in minima considerazione, se non ignorate sia dai datori di lavoro che, ancor peggio, dai lavoratori, molti dei quali si chinano servilmente accettando ogni compromesso propostogli, come affetti da una latente sindrome di Stoccolma. Per uno Stato che ripudia la guerra come l'Italia, è quasi paradossale che la sicurezza economica un giovane, la debba ricercare proprio arruolandosi nell'esercito, che sembra essere ormai l'ultima spiaggia per molti ragazzi demoralizzati, che preferiscono la scelta più facile, per sublimare la rabbia nei confronti di un sistema errato.

E lo Stato italiano dov'è? Quale futuro, dunque, per noi cittadini di questo terzo millennio? Forse scappare dal profondo sud o, addirittura lasciare l'Italia e, di conseguenza la terra in cui siamo nati e cresciuti, la nostra famiglia e gli affetti più profondi in cerca di una nazione in cui esiste una ipotetica soluzione che sappia da un lato incentivare le imprese in difficoltà, ma anche dall'altro porre in essere delle tutele reali a favore dei lavoratori.

Dovremmo essere capaci di svestire i panni di vittime croniche, di quelli che si accontentano e vestirci di nuova dignità e amor proprio, riappropriandoci del vero significato della parola “lavoro”. Quello a cui dobbiamo tendere e lottare per realizzare, quindi, è un’organizzazione che non alimenti le antitesi ma sappia sintetizzare armonicamente le diverse istanze con particolare riguardo a quelle dei soggetti più deboli.

Diana Gerace
Christian Basile

L'INIZIO DELLA FINE



La prima cosa che viene in mente osservando il panorama politico italiano è la voglia di starne il più lontano possibile, ma questo non è fattibile per tutta una serie di motivi che ,alla fine, prendono il sopravvento sul disgusto iniziale. C'è un vecchio detto che ripete questo ritornello e ossia che anche se non ci si occupa di politica, la politica comunque si occupa di te e purtroppo è tristemente vero, sopratutto in periodi come quelli che stiamo attraversando. E allora tanto vale affrontare anzichè aspettare, attaccare invece di difendere e questo per noi deve essere pane quotidiano,anzi lo è da sempre.

Quindi ci chiediamo subito e invitiamo i lettori a chiederselo, a chi possa giovare questa sorta di reale o fittizia confusione che si è scatenata nel Paese, generando un comprensibile senso di smarrimento nella gente. La crisi economica che lentamente ci attanaglia è la conseguenza inevitabile di scelte politiche insensate che, non solo in tempi recenti, hanno penalizzato la conduzione sana della produzione e dello sviluppo su tutto il territorio con una ricaduta ormai evidente sui ceti più deboli. Valga per tutte la farsa inscenata dalla Fiat della quale ci occupiamo da tempo. E' superfluo sottolineare che i maggiori responsabili di questo disastro sono i signori che si alternano in parlamento da decenni, loro e il loro sistema politico; ormai non vi è distinzione neppure apparente tra i vari schieramenti soprattutto quando si passa ad una questione attuativa della cosa pubblica.

La causa è da ricercare nel fatto che i nostri governanti non godono di reale autonomia propria, diciamo meglio non rispondono alle esigenze del popolo italiano ma a direttive sovranazionali più o meno dichiarate. Perciò è difficile trovare differenze tra i vari posizionamenti. E' un balletto da Grand Guignol, tutti contro tutti e tutti con tutti nel marasma generale: polo, contropolo, terzo polo, magistrati, giornalisti, affaristi, capi popolo, manager, soubrette, insomma uno scenario nel quale non riconoscersi, neanche da analizzare, semplicemente da rifiutare. E allora che fare?

Contrapporre a questo modello politico un altro che sia diametralmente opposto, frontalmente opposto a questo, ritrovare, anche se con sacrificio la dignità dell'appartenenza, non della diaspora, non bisogna lasciare il campo. Contrapporre se stessi a loro, avere la forza di dire no partendo dalle cose piccole, contrapporre cultura a informazione, lavoro a mercimonio, formazione a improvvisazione, rifiutare compromessi; non sono loro che assicurano il domani ai nostri figli, hanno dimostrato l'esatto contrario, hanno dimostrato di non amare questa terra.

Avremmo voluto analizzare magari in altri termini cosa si agita nei vari posizionamenti nazionali, ma è davvero troppo forte lo sdegno. Prima sgomberano il terreno della loro presenza è meglio è, esiste una parte sicuramente più sana nel Paese ed a loro ci rivolgiamo. Le cose possono cambiare al di là di questi preistorici rimasugli di un'era mefitica, gli scenari non sono immobili e immutabili e tutto ha una fine e un inizio. A loro la fine! Ai giovani, alle donne, ai lavoratori, al Popolo l'inizio.

Antonio Toscano.

sabato 26 febbraio 2011

TRA L'INCUDINE E IL MARTELLO


La logica della negazione dei diritti dei lavoratori, iniziata come banco di prova a Pomigliano, continua la sua folle corsa divenendo ancora più pesante a Mirafiori. Si comincia qui ingoiando la pillola amara del peggioramento dei ritmi ordinari di lavoro, dell’aumento degli straordinari e delle garanzie riconosciute in caso di malattia. Ora la nuova politica di Marchionne supera se stessa perché, oltre ad ammettere ritmi ordinatari di 10 ore se la produzione lo richiede, straordinari aumentati fino a 120 ore annuali, pause ridotte, limiti alle assenze per malattia, sono stati intaccati i diritti alla rappresentanza sindacale e di sciopero.

Saranno riconosciute soltanto le strutture sindacali firmatarie dell’accordo e scompare la rappresentanza diretta dei lavoratori, con l’eliminazione delle rsu (i sindacati di fabbrica), eliminando così qualsiasi tipo di opposizione alla linea imprenditoriale imposta. Per completare questo triste quadro, i sindacati che sciopereranno contro le nuove regole potranno essere puniti con l’annullamento dei permessi sindacali; mentre i lavoratori, che firmeranno personalmente il contratto, se sciopereranno contro di esso potranno andare incontro a licenziamento.

Tutto ciò è stato possibile grazie all’uscita della FIAT da confindustria, riuscendo a slegare la politica dell’impresa dal “limite” del contratto nazionale, americanizzando così il sistema di produzione, in seguito all’acquisto della Chrysler e giustificando il tutto con un vago investimento da un miliardo di euro per la produzione di suv.

Il ricatto quindi era chiaro già da quando si era posto il referendum, poiché la vincita del no avrebbe portato alla delocalizzazione della produzione, con la perdita del lavoro di chi era chiamato a votare, mentre il si ha di fatto legittimato una politica totalmente cieca di fronte ad ogni istanza di tutela dei lavoratori. Non possiamo però tacere i risultati referendari che hanno dimostrato come quasi la metà dei votanti ha messo a rischio le normali garanzie legate ad un posto di lavoro pur di difendere la propria dignità: il si ha vinto per una manciata di voti (appena il 54%)

Sia Pomigliano che Mirafiori si sono rivelate così il trampolino di lancio a favore di una politica imprenditoriale legittimata ad imporre le proprie regole e a decidere anche la sua controparte. Il pericolo concreto è ora quello dell’allineamento a questa politica di un intero sistema imprenditoriale, già di per sé marcio, per far fronte alla competizione globale.

Va detto peraltro che tutto ciò, su un piano rigorosamente formale, avviene in barba a leggi ordinarie (lo statuto dei lavoratori ad esempio) e prima ancora alla Costituzione che, sebbene funzionale ad una Stato liberal-capitalistico, riconosce garanzie inviolabili, come quelle legate al diritto di sciopero o alla dignità della persona.

E di fronte al disconoscimento delle briciole che con fatica nei decenni i lavoratori hanno conquistato, eloquente si è rivelato il ruolo dello Stato, che si è mantenuto totalmente estraneo alla vicenda, facendo di fatto il gioco degli interessi economici che hanno mosso le fila di questo cambiamento epocale, che si inquadra a sua volta non in un ambito meramente nazionale ma, com’è facilmente intuibile, in un assetto economico internazionale votato ad una sempre maggiore competitività delle imprese, senza confini di sorta o limiti derivanti dai preesistenti sistemi di contrattazione, ferma restando la non piena efficacia degli stessi.

Tale situazione dunque è solo la continuazione di precisi progetti economico-sociali volti alla riduzione dell’uomo a mero mezzo per il raggiungimento di obiettivi di produzione e di accumulazione del profitto. Una reale presa di coscienza non può avvenire quindi solo in presenza di queste situazioni limite ma deve rivolgersi ad un sistema di base che le ammette e le giustifica come sue normali conseguenze, prevedendo la funzionale contrapposizione dell’imprenditore capitalista ai lavoratori.

Sono questi ultimi che, in quanto forze di produzione, dovrebbero essere messi nella condizione di fornire il proprio apporto a favore della comunità e non, come accade, a vantaggio dell’imprenditore che sfrutta illegittimamente il loro lavoro. Rovesciando le carte e astraendosi dalle regole imposte da una politica occidentale fallimentare, in quanto mossa da “valori” artificiosi ed estranei alla persona, un sistema imprenditoriale accettabile deve prescindere dalle logiche imposte dall’attuale sistema economico e strutturarsi in modo che la gestione dell’attività produttiva sia svolta da chi di fatto se ne occupa, ossia dagli stessi lavoratori.

Vincenza Bagnato
Giuseppe Pennestrì

venerdì 25 febbraio 2011

IL VENTO RIBELLE DELL'AFRICA


Un vento strano soffia dalle coste del Nord-Africa, ha un respiro forte e caldo, siamo abituati allo scirocco, ma questo non è lui. Questi è un vento di ribellione, di una cosa da tempo annunciata e che all'improvviso è esplosa, incontrollata e inattesa. Le caratteristiche del martirio del giovane tunisino che hanno dato l'avvio alla rivolta di sicuro non appartengono alla nostra attuale cultura europea, che sconosce da tempo il senso del sacrificio, eppure l'eco di quanto avvenuto è sempre più vicino e rimbomba e preoccupa il vecchio continente. Anche ciò che sta avvenendo in Egitto o in Libia, mentre scriviamo non è facilmente definibile, di certo potrebbe creare una situazione di cambiamento epocale in tutto lo scacchiere economico-politico del Mediterraneo, che tornerebbe ad essere il centro di mutamenti storici importanti. Nessuno pochi giorni addietro avrebbe pensato a quanto stava per accadere, ciò deve fare riflettere, se è vero come si dice o come si vuol far credere che tutto sia apparentemente già previsto e consolidato. Qualcosa può sempre sfuggire al controllo dei padroni della fattoria e ai loro fedeli servitori. Ci piace pensare che per esempio una delle cose che ancora non dominano è la capacità di ribellarsi alla forzata omologazione esistenziale che ci vorrebbero propinare. Fuochi illuminano la notte di un mare che vorrebbero sempre tranquillo, che rischiarino la rotta di chi non vuole vivere da schiavo.
Lo stesso non si può dire per l'Europa, ove invece un cambiamento sarebbe necessario, ed in particolare per l'Italia dove a fronte di un traguardo storico come quello dell'Unità assistiamo all'imbarbarimento di un popolo che sembra avere smarrito il proprio senso e la propria coscienza nei confronti di una situazione politica da cabaret in cui psiconani e ballerine la fanno da padrone mentre arretriamo di almeno duecento anni nel mondo del lavoro e della produzione, in cui la qualità della vita è specularmente opposta al territorio in cui si vive e in cui tra l'altro le nuove generazioni hanno perso l'orientamento del loro futuro. Qui, fuochi si accendano, per segnare una via diversa, a qualunque costo, del resto non sarà mai tanto alto rispetto a ciò che stiamo pagando.
Torniamo a guardare in faccia i nostri figli con dignità!

Antonio Toscano

venerdì 18 febbraio 2011

LO STATO E LA SUA ELEMOSINA


Messina ormai da tempo è abituata a non far caso a ciò che accade sulla propria testa, a voltare lo sguardo dall'altra parte anche su questioni che la riguardano da vicino, a causa di un odioso e ben visibile sentimento di resa incondizionata della maggioranza dei suoi abitanti. Siamo sicuri che accadrà anche questa volta. Nel decreto Milleproroghe, passato in senato nei giorni scorsi, è stato previsto uno stanziamento di soli dieci milioni di euro per quelle zone tristemente note a causa dell'alluvione del primo ottobre 2009 che causò 37 morti.

Vorremmo parlare di quest'argomento in modo diverso, vedere che tutto va per il verso giusto, che le promesse fatte venissero quantomeno mantenute, ma così non è. I dieci milioni in questione fanno parte di uno stanziamento di cento milioni che era destinato alla Liguria per le alluvioni dei mesi scorsi, alla quale, dopo questo umiliante stornamento, toccheranno novanta milioni.
Incredibilmente c'è anche qualcuno che ringrazia ed è persino contento del gran gesto nobile di uno Stato che non ci rappresenta minimamente, è il caso del senatore Nania la cui "speranza" non è stata tradita da un servile senato della repubblica. Meglio di niente avranno pensato.

Quest'ultima frase, "meglio di niente", riassume in maniera drammaticamente vera e precisa la storia recente di questa città, sembra essere il pensiero dominante di intere generazioni, quasi fosse diventata ormai una filosofia di vita, un fatto esistenziale dal quale è quasi impossibile liberarsi. Quasi. Più gli uomini sono assoggettati da un pensiero, da una dottrina, più diventano schiavi inconsapevoli di un padrone solo apparentemente inesistente, cadendo nella sottile trappola di un regime di scelte condizionate spacciate per libertà, in tal modo un incredibile numero di schiavi crede di essere libero, ma non lo è per nulla. Questa è la realtà, che vi piaccia o no, di Messina.

L'ennesimo schiaffo sembra non turbare la sonnolenta vita della maggioranza dei figli di questa città, abituati ormai a barattare la propria Terra per qualche ossicino gettato dal padrone che hanno deciso di servire. Tutto scorre, come se niente fosse successo, come se a Messina si morisse per finta, come se tutto fosse solo una tragedia teatrale. Sarebbe anche ora che questa città si rivegliasse da un sonno troppo lungo, che sbattesse in faccia agli uomini di potere la loro elemosina, che non accettasse più di servire alcun padrone. Eppure non lontano dalla Sicilia, in un sud più profondo del nostro, esistono Popoli che hanno detto di no, la cui parte migliore ha deciso di ribellarsi e morire pur di non vivere da schiavo. Un tempo anche i figli di Messina erano in grado di farlo.

Giuseppe Pennestrì

lunedì 14 febbraio 2011

RIDIAMO LORO LA SPERANZA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

RIDIAMO LORO LA SPERANZA
Da diversi anni l'ABSPP sostiene diversi progetti a favore della popolazione palestinese di Gaza, della Cisgiordania e dei campi profughi sparsi in Medio Oriente. In seguito al sopralluogo effettuato nel mese di dicembre da una nostra delegazione all'interno dei campi profughi palestinesi del Libano, abbiamo verificato le drammatiche condizioni in cui "sopravvivono" oltre 400.000 persone. Tutto ciò accade tra l'indifferenza generale e il menefreghismo dei vari Enti che, invece di rendere la vita meno disagiata a questi poveri "dannati", si preoccupano di ingrossare gli stipendi dei propri funzionari. Preso atto della situazione, abbiamo deciso di lanciare una campagna di raccolta fondi per contribuire a rendere più dignitosa la "sopravvivenza" di questo popolo. Per il mese di maggio è prevista la partenza dal porto di Genova di numerosi containers carichi di aiuti, oltre che di una delegazione europea composta da operatori umanitari, politici, giornalisti.
LE VOSTRE DONAZIONI SERVIRANNO PER ACQUISTARE FARMACI,
APPARECCHIATURE SANITARIE E BENI DI PRIMA NECESSITA'.
LE DONAZIONI POSSONO ESSERE EFFETTUATE:
Intestato a: ABSPP ONLUS
via Bolzaneto 19/1 16162 Genova
Conto Corrente Postale intestato a:
Associazione Benefica di Solidrietà con il Popolo Palestinese:
Numero 22246169

Conto Corrente Bancario
intestato a: ABSPP ONLUS, Banca Popolare Etica
IBAN: IT92N0501801400000000131000

coordinate dall'Estero (from abroad):
Intestato a: ABSPP ONLUS
IBAN: IT92N0501801400000000131000
Il codice SWIFT: CCRTIT2T84A
ABSPP ONLUS
VIA BOLZANETO,19/1 - 16162 - GENOVA-ITALIA

UN GRAZIE A TUTTI COLORO CHE VORRANNO CONDIVIDERE INSIEME A NOI QUESTA SACROSANTA LOTTA PER
DIFENDERE E SOSTENERE IL DIRITTO DI UN POPOLO
AD ESISTERE.
Qualunque cosa tu scelga di fare, i bambini dei campi profughi e l'ABSPP-ONLUS ti saranno grati!
info: nidodegliangeli@tiscali.it

sabato 12 febbraio 2011

SEI IL MIO AQUILONE

Come quell'aquilone
che portato dal vento
colla pioggia e col sole
distratto e contento
sui mari e sui monti
di giorno e di sera
sul legno dei ponti
in inverno e primavera
se ne vola spensierato
s'innamora d'un lago
ma l'ha già dimenticato
vola via calmo e pago
spezza corde e vola via
non rimane imprigionato
Libertà è la sua Dea
Anarchia il suo reato
Come quell'aquilone
voli via spensierata
colla mia dolce illusione
d'una vita innamorata
Scappa via dalle mie mani
il mio aquilone, senza pensieri
porta via il mio domani
e dimentica il suo ieri
Il mio aquilone com'è bello
anche adesso che va via
m'ha lasciato un tal bordello
che gli scrivo una poesia.

Contributo di:
Salvatore Valente.

venerdì 11 febbraio 2011

AVVENTURE DELLA RAGAZZA CATTIVA, DI MARIO VARGAS LLOSA



Se siete alla ricerca del solito romanzo d'amore melenso, non approcciatevi alla lettura de "le avventure della ragazza cattiva" di Mario Vargas Llosa. Di certo si tratta di una travolgente storia d'amore, principalmente quello verso una donna mutevole, imprevedibile e dai mille volti; un personaggio difficile da comprendere ed apprezzare, soprattutto agli occhi di un lettore particolarmente sensibile ed empatico. Ma la piccola Niña Mala possiede un carisma ed una forza palpabili; emergono dalle sue scelte azzardate e dai suoi cambi d'abito. Il romanzo è il racconto di Ricardo, innamorato fin da ragazzino della cilenita Lily e poi, irrazionalmente, delle sue nuove maschere e nomi; ma narra anche l'amore per i luoghi, per i profumi e i colori tipici di un tempo e di uno spazio ben precisi ed accuratamente descritti. Nello sfogliare queste pagine verrete immersi, tramite la mirabile scrittura di Vargas Llosa, nella tempera densa di quadri ricchi e stuzzicanti: Dal sofferente Perù degli anni '60, patria del protagonista e dello stesso autore, straziato dalla guerriglia rurale per la libertà e la giustizia sociale portata avanti dal MIR, fino poi al golpe militare che dà vita al governo del generale Velasco Alvarado; alla Parigi dei sogni infantili di Ricardo, la città borghese, dalle tinte tenui e l'atmosfera rarefatta tramandataci da chi negli anni l'ha dipinta e fotografata; alla Londra della trasgressione degli anni '70: notturna, impudente e affascinante per un verso, spocchiosa e classista dall'altro. E via così, negli occhi di un interprete di mestiere, che gira il mondo e mai ne gode, al fianco di figure che gli donano importanti insegnamenti, ma rimangono sempre e solo parentesi tra gli intensi paragrafi scritti da lei ; lei che eccede e stravolge. Vargas Llosa ha il potere di trascinare il lettore in un viaggio per il mondo e nella sensibilità del protagonista, tramite una scrittura diretta, chiara e convincente, forse proprio quest'ultima che mette il lettore nelle condizioni di non poter ignorare il bruciore delle ferite di Ricardo. Mario Vargas Llosa nasce ad Arequipa, in Perù, il 28 Marzo del 1936, ed oltre ad essere un romanziere è anche un giornalista ed un politico di spicco, essendosi presentato come candidato alla presidenza del Perù nel 1990, dato per favorito per gran parte della campagna. Nelle sue opere l'impegno civile e la testimonianza, storica e politica, sono sempre presenti, attraverso una visione tragicamente umana; non a caso proprio nel 2010 ha vinto il premio Nobel per la letteratura per «la propria cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell'individuo».

Giulia Zanella

giovedì 10 febbraio 2011

A chi la casa.................a nessuno!

Siamo alle solite, è partita l' ennesima battaglia tra poveri in salsa peloritana condita di abbondante malafede servita da più parti.A S. Lucia sopra Contesse , ridente villaggio dell'amena zona sud della città è scoppiata una mini-rivolta tra gli abitanti degli alloggi popolari e le istituzioni in loco rappresentate dalle....forze dell'ordine,i residenti non intendono restituire le case in virtu' del fatto che viste le inadempienze e le lungaggini burocratiche del Comune avevano gia' pensato bene di abitarle ancora prima che venissero assegnate, si tratta di appena 106 nuclei familiari..........che da anni vivono li'. Ci chiediamo alcune cose, per esempio ,come mai nessun dirigente comunale o addetto a questo settore si era accorto prima di quanto avveniva? Nè la gestione attuale, nè la precedente hanno potuto risolvere il problema di queste famiglie?.......Stranissimo, neppure sotto campagna elettorale?Veramente strano per politici cosi' attenti come quelli locali e forestieri.Eppure la zona in questione è sempre stata ricco serbatoio di voti per tutti , vista la rinomata attenzione che ,da quelle parti viene data per la cosa politica.Ci piacerebbe interessarci di più della questione se avesse relmente i sintomi di una febbre ribellista, ma fino ad ora è ancora un film visto e rivisto, legato solo ad uno squallido do ut des:Padrone-Gabelliere-Schiavo. Non c'è ne vogliano coloro i quali chiedono una giustizia ,giusta;ma finche' non si esce da alcune logiche partitico-clientelari è tutto inutile!

Ma colmo dei colmi , ci si ribella perchè " Le case ai rom si' e a noi no!",Messina entra a pieno titolo nella conflittualita' mondialista e prende una posizione ben precisa:I Leghisti di Contesse non intendono dividere il loro benessere o i loro problemi con altri,riscoprono la loro identita' ed al di la' del sacro fiume Camaro non c'è posto per nessuno , in barba ai principi di accoglienza e solidarietà.Anche perchè i Rom ancora non votano.................!
Attenzione , indipendentemente dalle facili battute,è sempre il popolo a farne le spese,il potere gongola sempre nelle divisioni e nelle finte opposizioni, tanto Loro hanno case da sempre e da sette generazioni e i diritti se li comprano, pero',per capire questo bisogna fare lo sforzo di recidere le catene mentali e materiali che ci attanagliano ,allora si che le proteste avranno un altro senso

LA CONTRORIFORMA TREMONTI-GELMINI VISTA DA UN RICERCATORE


E' bene sottolineare come la protesta dei ricercatori contro il DDL “Gelmini” trova la sua scaturigine dai ricercatori stessi, ma travalica taluni aspetti forse corporativi, e coinvolge tutta l’Università italiana, tutto il Corpo Accademico, riverberandosi sul futuro dell’intera società civile.
Il DDL, che è stato approvato dal Senato della Repubblica senza alcuna opposizione, appare strutturato, meglio, dettato, da Poteri forti e trasversali, esterni all’università, la cui punta di diamante sembra essere la Confindustria.
Le dichiarazioni rilasciate in Commissione Cultura dal Vice Presidente di Confindustria, gli articoli apparsi sul “Sole 24ore” e tutta la campagna mediatica posta in essere negli ultimi mesi, lasciano pochi dubbi sulla strategia di assalto alla diligenza attuata nei confronti dell’Istituzione universitaria pubblica.
La cosiddetta governance, che inserisce nei CdA degli Atenei un 30% di “esperti esterni” portatori di “saperi altri”, presumibilmente derivanti da un mondo imprenditoriale italiano che, dagli scandali Cirio a Parmalat, passando per lo spregio della sicurezza nel lavoro e per la “delocalizzazione” nonché la deindustrializzazione dell’Italia; ha già dato ampia prova di sè e di come concepisce il suo posizionamento sociale continuando indefessamente a privatizzare i profitti ed a socializzare le perdite.
E’ altissimo il pericolo che tali CdA possano, con un colpo di mano, trasformare singoli atenei in Fondazioni di diritto privato, con tutto ciò che questo comporterebbe sul piano sia dell’occupazione, sia della libertà di ricerca, sia sul trasferimento della conoscenza sugli Studenti e quindi sul Territorio.
Probabilmente lo scopo, neanche tanto recondito, è quello di impadronirsi del “giocattolo” universitario per poter fare innovazione (profitti) a costo zero, liberandosi al contempo di tutta quella zavorra culturale giudicata inutile perché non funzionale ad un immediato uso mercantile
Ad un tale stato di cose, nulla potrà eccepire il mondo accademico. Nessuno. Neanche i Senati accademici ridotti a mero Organo consuntivo e di collegamento con i Dipartimenti.
Con i Senatori ridotti a camerieri dei “sapienti altri”. Impotenti spettatori di una rovina ancora oggi evitabile.
Professori Ordinari relegati al ruolo di yes men al servizio di faccendieri, politici, forse di furbetti del quartierino di turno, in un quadro rassomigliante alla struttura della ASL e con in più la responsabilità di avere accettato la
“tenure track”, squallido ed ambiguo concetto, barbarismo lessicale che, in italiano, si traduce precarietà.
La “tenure track”, assieme alla messa in esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato, è una delle chiavi di volta dell’intero DDL. Da una parte si disconosce al ricercatore a TI la reale attività di docenza svolta a partire dal 1991 che, ricordo, è stata erogata con entusiasmo ed amore, volontariamente, senza alcun obbligo di Legge e senza nessuna remunerazione aggiuntiva.
Dall’altra si istituisce la figura del ricercatore a tempo determinato il quale, dopo sei anni di attività, o diventa professore associato o, semplicemente, non è più nulla.
A ragione una siffatta figura rischia di restare per la strada a 35 anni suonati: mi permetto di precisare che a 35 anni si arriva se, e solo se, tutti i tempi del 3+2, del dottorato e dello start time del tempo determinato, vengono elveticamente rispettati!
Diversamente, e molto più realisticamente, il DDL disegna uno scenario futuro in cui un esercito di precari senza speranza, senza un progetto di vita, e senza “paracadute sociale”, si affaccia alla mezza età con un pugno di mosche in mano, niente di realizzato. Tutto da ricominciare!
Io penso che il corpo Accademico nella sua interezza, nella sua organicità, non possa permettere che una parte di se stesso possa essere trattato in siffatta maniera. Se i Ricercatori vengono trattati come una cancrena, isolati, messi ad esaurimento, presto l’opera di demolizione passerà agli altri. A quelli che restano.
Finché il destino sarà compiuto: i ricchi si formeranno nelle Scuole private, magari on-line, dove saranno addestrati per diventare Quadri Dirigenti della nostra Italia; gli altri, gli Ultimi, impossibilitati, per mancanza di opzioni, a scegliere un percorso culturale, patiranno sulla loro pelle l’assunto che, se “Sapere è Potere”, di converso, “Ignoranza è schiavitù”
A chi maliziosamente, per mancanza di informazione o per semplice malafede, stigmatizza la protesta in atto relegandola a fatto secondario e finalizzato all’ottenimento di una ope legis per diventare professori associati, rispondo che, non foss’altro che per motivi economici, una tale evenienza sarebbe, per un ricercatore cinquantenne, una autentica iattura. Non esiste infatti il tempo materiale per poter agguantare il miglioramento economico “acquisito” se non dopo il pensionamento! E l'età media dei Ricercatori italiani è 45 anni.
Insomma: se qualcuno volesse farmi un dispetto, mi nominerebbe associato sin da domani e così facendo, mi inchioderebbe sull’assegno ad personam sino alla pensione.
Appare chiaro come, in questa fase, i Ricercatori rappresentano un'avanguardia del mondo accademico, la cui protesta passa anche dal mancato riconoscimento del loro stato giuridico, ma si incardina nella più generale analisi critica del DDL "Gelmini" i cui contenuti sono tali da porre la parola "fine" sulla Università Pubblica italiana.
Ed è questo il motivo per il quale a mio avviso siamo tutti, accademici e non, chiamati ad una assunzione di responsabilità.

contributo di:Mauro Federico
ANDU UniMe
Rete29Aprile UniMe

mercoledì 9 febbraio 2011

CARA LIBERTà

Il Vaticano ancor s'infuoca
per difendere qualcosa
che qualcuno un qualche giorno
definì un grande dono..
inviolabil certamente
indisponibile..sicuro..
e non parlo sol degli altri
ma di me in prima persona:
non più piena proprietà
e non più mia la facoltà
della scelta a terminare
una vita vegetale.
Perchè invero titolare
sarò anche di un diritto,
ma non pieno o assoluto
bensì forse di usufrutto,
mentre nudo proprietario
è qualcuno di mai visto,
la cui vita, quella si,
metterei davvero in forse.
Ecco quindi che di fatto
divien vero decisore
il di lui rappresentante,
madre Chiesa strepitante
che ringrazia il concessore
e decreta contro chi
chiama non riconoscente,
ossia gente che insolente
vuole si parlar di dono
ma che fa riferimento
non a vita, sacra e santa
bensì a ciò la cui tutela
in passato e nel presente
portò uomini a morire:
vera vita di ciascuno,
è l’umana vera essenza,
attentata da ogni dove,
la cui spina puoi staccare;
parlo della LIBERTà,
assoluta, piena, vera,
da difendere a ogni costo..
ma che ormai purtroppo molti
si rassegnano a scordare.

Ad un anno dalla morte di Eluna Englaro, il diritto a decidere sulla nostra vita non ci è ancora riconosciuto.
Vincenza Bagnato.

Le classifiche ...............ogni tanto.

OGNI TANTO,ANCHE NOI , GUARDIAMO QUALCHE STATISTICA...............E QUALCHE CLASSIFICA,PER ESEMPIO L'ULTIMA DELLA PR-MARKETING REDATTA PER IL SOLE24ORE E CHE RIGURDA I SINDACI IN ITALIA!
I primi 10 : Matteo Renzi - Firenze

Sergio Chiamparino - Torino

Vincenzo De Luca - Salerno

Flavio Tosi - Verona

Gianfranco Ganau - Sassari

Peppino Vallone - Crotone

Michele Emiliano - Bari

Massimo Cialente - L'Aquila

Alessandro Andreatta - Trento

Gabriele Melogli - Isernia


Gli ultimi 10 : Alberto Ravaioli - Rimini
Domenico Mennitti - Brindisi
Eugenia Nonnis - Oristano
Emilio Floris - Cagliari
Ettore Romoli - Gorizia
Raffaele Stancanelli - Catania
Giuseppe Buzzanca - Messina
Nicodemo Petteruti - Caserta
Diego Cammarata - Palermo
Rosa Russo Iervolino - Napoli

Invitiamo i nostri Lettori ad una attenta analisi e ad una conseguente conclusione ! Buona Giornata.

martedì 8 febbraio 2011

FALSE SPERANZE

Solo in una stanza
buia e desolata
godo dell'assenza
della verità

Schiacciato dalla forza
dell'emarginazione
attendo con pazienza
la solidarietà.

Contributo di:
Salvatore Valente

..E DIFENDONO CAINO..


Diamo uno sguardo alla situazione politica italiana e internazionale, ben consapevoli che non è un tema di moda, anzi trovandolo addirittura desueto in un momento in cui è di sicuro più avvincente dibattere di bunga bunga o seguire le varie puntate di un'atroce storia di cronaca, usata per fare ascolti. Queste si che sono questioni che animano sterminati dibattiti e continue discussioni, mentre in silenzio le piccole e medie imprese sono costrette a chiudere o a mantenere politiche interne di “austerity”, con effetti catastrofici su chi non chiede altro se non di poter lavorare, almeno con le tradizionali e già insufficienti garanzie di sempre. In silenzio cresce il numero dei licenziati e cassintegrati e, nel migliore dei casi, si continua a mantenere il posto rinunciando alla propria dignità, come a Pomigliano e Mirafiori, che sono stati il banco di prova che ha confermato che pur di avere uno stipendio si è pronti a rinunciare a garanzie e diritti fondamentali, poiché sostanzialmente la scelta è tra la fame e lo sfruttamento. E mentre ci si impegna a capire se abbiamo ancora una maggioranza e un governo, in silenzio grandi e medie imprese da solo si difendono da una crisi che, abbiate pazienza, ma non abbiamo proprio il tempo di fronteggiare...! Allora da una parte si incentiva la flessibilità, adattando il lavoratore alle necessità della macchina di cui è parte, e dall'altra si delocalizza, in fondo in Romania o in Polonia i costi sono ridotti e chi lavora si accontenta molto più facilmente. Ora, se si pensa che l'economia è l'espressione, insieme al diritto e alla sanità, di quanto dovrebbe significare uno stato (ammesso che una concezione statalista possa essere ancora sostenuta) si capisce bene come, essendo stata smantellata la concezione di un sistema sociale che tende a migliorare la condizione dei propri cittadini, tutto vada nella direzione opposta. E di fronte a tutto questo, noi restiamo convinti di quanto già esposto in precedenti scritti, cioè che, le economie dei Paesi vengono rette da oligarchie finanziarie sovranazionali che trovano nella banche, nelle grandi multinazionali e soprattutto nei governi fantoccio l'espressione per operare sulla pelle dei popoli. Riteniamo perciò che, essendo inevitabile l'implosione di tale sistema, sia necessario determinare una concezione politica che ribalti l'attuale meccanismo economico e le conseguenti scelte politiche adottate un po' dovunque, che chiaramente stanno ristrutturando le crepe di questo stesso sistema e rifinanziando le stesse cause della crisi. In altri termini, si nasconde il marcio che lo caratterizza, dandogli un bell'aspetto che è solo esteriore, senza andare al cuore del problema. La stessa crisi mondiale d'altronde, è la logica conseguenza di una gestione economica che non tiene conto delle reali esigenze dei singoli Stati e ciò che alle volte sfugge è che a farne le spese è la gente comune, che ormai da tempo, obnubilata e assopita da inconsci meccanismi mentali, evita di riflettere sulla propria vita anzi, per meglio dire, sulla qualità della propria vita. Preferendo esempi diretti, invitiamo i nostri lettori a ragionare sull'elevato numero di morti bianche, di suicidi per mancanza o perdita di lavoro, sul considerevole aumento della disoccupazione nazionale e mondiale, sulla mancanza di certezza nel mondo giovanile, sulle conseguenza disastrose che da esso derivano. Questo il risultato di un sistema artificioso, basato sul profitto e sordo di fronte alle vere esigenze del singolo e delle comunità, ma davanti a tutto questo ciò che più è assurdo e paradossale è la passività di chi ne è vittima, perché non reagire vuol dire essere conniventi di un sistema criminale.
Antonio Toscano
Vincenza Bagnato

lunedì 7 febbraio 2011

QUELLA COLONIA CHIAMATA EUROPA



Pensando alla nostra Terra, la Sicilia, ci tornano in mente quelle storie fatte di sangue e dignità di poeti e contadini che con la bellezza della loro ispirazione e il sudore della loro fronte hanno fatto del triangolo del Sole una delle terre più fertili e prospere del Mediterraneo. Ma la Sicilia è terra anche di dolore e ignoranza, di mafia e corruzione e, oggi più che mai, di stupri territoriali, culturali e politici. Uno dei più grandi abusi subiti dal popolo siciliano e più in generale da quello europeo ha un nome, e questo è Naval Air Station Sigonella. A pochi chilometri da noi c’è il segno più evidente della colonizzazione subita all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Ma è solo il più vicino a noi, o che noi conosciamo. I numeri parlano chiaro: con cifre aggiornate al 2007 le forze americane possiedono in Italia qualcosa come 2.000 edifici di proprietà, 1.100 edifici in affitto, 4.500 impiegati civili e 15.500 soldati impiegati nelle 113 basi militari. In poche parole, uno Stato che nominalmente gode della sovranità popolare subisce da oltre 60 anni la velata occupazione militare statunitense , solo in alcuni casi coperta dalle false insegne della Nato. Tutt’altro che in controtendenza con questo status quo è giunta da pochi mesi la notizia che la base di Sigonella ospiterà 20 velivoli senza pilota UAV Global-Hawk, onorando cosi un accordo top secret tra la colonia-Italia e gli Usa stipulato nell’Aprile 2008 mirante ad obbedire ai dettami statunitensi che, per voce della rivista “Defense News”, fa sapere che Sigonella “diverrà il polo strategico dei Global-Hawk “ prodotti dalla transnazionale Northrop Grumman, azienda specializzata nella produzione di armi ad altissimo potenziale bellico e che quindi nel suo sito ufficiale può ben vantarsi delle sue produzioni affermando con disinvoltura che “L’etica e i valori sono il fulcro dell’identità aziendale della Northrop Grumman. Non sono né un elemento marginale né un ripensamento:definiscono chi siamo e come agiamo”… come a dire ”abbiamo causato milioni di vittime dall’inizio della Guerra fredda ad oggi, ma lo abbiamo fatto nel completo rispetto della nostra etica” … questa dichiarazione potrebbe valere, domani, come confessione per anni e anni di stragi impunite? Non ci sarebbe nulla di strano – si fa per dire! - se questi velivoli non fossero stati giudicati molto pericolosi dagli stessi produttori che lo giudicano 100 volte più a rischio d’incidente di qualsiasi altro aereo e che, oltre a questo, verranno fatti transitare nei corridoi aerei italiani attualmente destinati al traffico civile nonostante sia accertato il rischio di tali velivoli per la loro alta sensibilità ai cambiamenti ambientali e alle interferenze. Proprio per questo negli Usa il transito degli Uav ha suscitato gravi polemiche con le maggiori associazioni di piloti, mentre in Italia l’Enav e l’Enac, enti responsabili del traffico aereo nazionale, pare siano state bypassate. Passando all’impiego di questi velivoli è chiaro che essi, oltre ai proclami che li vogliono impiegati in caso di calamità naturali e per fini umaniari, svolgeranno operazioni di guerra. E infatti con una disinvoltura disarmante Ludwig Decamps ammette che essi” saranno fondamentali per missioni di guerra nell’area Mediterranea e in Afghanistan”. Ad ogni modo pare, a maggior conferma dello status di colonia, che il transito degli Uav, nel nostro territorio avvenga già dal 2001, e cioè con l’inizio della guerra in Afghanistan. A questo punto non è superfluo ricordare che l’Italia partecipa in Afghanistan ad una “missione di pace” e che, sempre in linea teorica, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”. Come se non bastasse, senza che nessun organo di stampa abbia ritenuto utile divulgare questa notizia fino ad ora, il premio nobel per la Pace, nonché Presidente Usa, Barack Obama ha firmato nel mese di luglio un accordo con la Polonia in merito all’installazione del sistema antimissilistico che, rispetto al progetto Bush ritirato nel 2009, prevede l’installazione di un sistema di intercettazione di missili a breve raggio in funzione apertamente anti-iraniana -come confermato dal Segretario di Stato Hillary Clinton- Il tutto, è sempre bene farlo notare, sul suolo europeo e vicinissimo al confine con la Russia che infatti si interroga sulla effettiva finalità di tale sistema, considerando l’assenza di una minaccia iraniana. Il progetto, in verità molto poco pacifista, prevede dunque la dislocazione di nuovi missili Patriot su piattaforme mobili e navi in Polonia, Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca, Turchia, Mar Baltico e dell’Artico per un costo iniziale nel 2011 di 2,2 milioni di dollari e ignorando del tutto le proteste già scattate in territorio ceco. Fin troppo facile trarre le conclusioni: l’Europa si dimostra il trampolino di lancio delle azioni criminali e guerrafondaie americane, l’Italia e il resto dei Paesi si qualificano sempre più come stati-vassalli pronti anche a militarizzare il nostro territorio fino a renderlo teatro di guerre presenti e future che non ci appartengono, mettendo a rischio le nostre stesse vite e calpestando la nostra sovranità e dignità di popolo fieramente mediterraneo e, quindi, per antonomasia libero.

Marco Masulli

domenica 6 febbraio 2011

QUESTO PARLAMENTO...


Questo parlamento deve cadere! Deve cadere in quanto non rappresentativo delle reali esigenze del Popolo Italiano; Esso è troppo distante da ciò che, al di la' di quanto viene proposto e propinato dai mass- media telecomandati, avviene nel Paese. Con le dovute distanze, teniamo a precisare che gli ultimi avvenimenti all'interno dei due poli e persino alle loro ali e al centro non sono di sicuro la risoluzione ne' prossima ne' futura dei problemi dell'Italia, poiché siamo sempre più convinti di quanto già affermato, ossia che gli sconvolgimenti -veri o fittizi- all'interno dei partiti, altro non sono che beghe personali finalizzate all' affermazione dei singoli o, tuttalpiù rispondenti a dettami di logiche internazionali e selvaggiamente neo-liberiste che quindi non prevedono il bene dei Popoli. Lo scollamento tra politica e cittadini è ormai evidente eppure si continua a fingere che tutto vada bene; il tasso di disoccupazione è a livelli mai raggiunti, le prospettive di lavoro sono sempre più lontane, regolarmente chiudono fabbriche e imprese di medio o alto livello, bene che vada gli stessi spostano i loro interessi all' estero (vedi ultimamente OMSA- trecento operaie senza futuro). Il numero dei poveri è in costante aumento e abbraccia ormai fasce sempre più ampie della popolazione, la sanità fa' acqua da tutte le parti, la giustizia, a parte le note regioni dove non è mai esistita; è ormai solo oggetto di chiacchiere da salotto e intanto le carceri scoppiano, i detenuti vivono in condizioni disumane con relativo aumento di casi di decesso per suicidio... o altro (vedi Cucchi). Del resto non sarà casuale se alcune classifiche internazionali vedono l' Italia occupare la stessa posizione in termini socio- economici pari a quella, col dovuto rispetto, del Burkina- Faso per qualità della vita. E così vengono tagliati i fondi alla ricerca , alla scuola ,all'università e alla cultura, per incrementare, obbedienti al comando della sacra trimurtì Londra - Washington – Tel Aviv, le spese per gli armamenti. Sappiamo bene che tutto questo rientra in un progetto più grande finalizzato a instupidire le persone e renderle sempre meno Popolo e sempre più consumatori - cannibali di se' stessi, ma davvero non riusciamo a capire dove si voglia arrivare. Ora se provassimo a rimettere in gioco tutto, anche cambiando le regole e tornassimo a considerare la politica come una cosa che ci riguarda direttamente e non soltanto rimanendovi semplici spettatori agiti e
agitati, ma tornando ad esserne protagonisti come insieme di esseri umani e non di numeri, forse potremmo non soltanto garantire un futuro migliore alle prossime generazioni, ma anche creare una Resistenza di molti a un dominio di pochi e spesso senza volto; bisogna prendere coscienza dell'esistente e con coraggio avviare un cammino di cambiamento epocale e valoriale. Non è impossibile: in altre parti del mondo stanno cercando di invertire la tendenza globale e mondialista reale causa di questo sfacelo, per farlo bisogna entrare nel terzo millennio convinti di abbracciare nuove soluzioni che accantonino quanto finora verificatosi e rileggano la modernità in chiave assolutamente ri-voluzionaria. Ecco perché un siffatto parlamento, oltre ad essere vecchio e stantio, non permette lo sviluppo di innovazioni; muoversi dentro la gabbia del bipolarismo non risolve nulla se non imbrigliare le migliori energie del paese e tutto, a nostro dire, in assoluta malafede; del resto basti considerare che il Senato sembra più un museo delle cere che un organo istituzionale. Quindi , tutti a casa, con parsimonia per il bene della comunità, pronti a rileggere la Politica in un altra maniera che non sia solo quella delle comari nei cortili mentre alle spalle altri, sogghignando, rubano il futuro ad intere generazioni!
Antonio Toscano
Diana Gerace

sabato 5 febbraio 2011

E LA RICERCA MUORE!

Occuparsi della ricerca scientifica italiana non è compito affatto semplice. Ci si trova davanti un sistema completamente disorganizzato, incapace di vedere e ragionare in una seria prospettiva scientifica, causata da una cronica mancanza di un serio programma di ricerca e istruzione. A conferma delle nostre parole basta prendere in considerazione i maggiori protagonisti della ricerca italiana, i ricercatori. Sul loro operato le università riescono a garantire il funzionamento e l'offerta didattica proposta, pur percependo uno stipendio, per i più fortunati, inferiore a quello degli associati (professori di 2° fascia). Per i ricercatori non esiste una tariffa precisa ma dipende dai fondi che la singola università riesce ad avere.
Tale situazione è generata da una classe dirigente politica ed economica che non conosce il mondo della ricerca o peggio non riesce proprio a comprenderlo. Se il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo,nomina un oncologo di 85 anni alla presidenza dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, ignorando un intero settore di fisici sicuramente più preparati di quanto lo possa essere Umberto Veronesi, si intuisce che qualcosa non va per il verso giusto.
La ricerca italiana fin da troppi anni vive in condizioni di assoluta precarietà dovuta alla mancanza di fondi da destinare alle varie università. Fin troppe volte gli atenei italiani e di conseguenza la ricerca hanno dovuto sopportare tagli su tagli, fino ad arrivare praticamente al collasso, con la banale e insufficiente scusa della mancanza di risorse. Salvo scoprire che, l'art. 4 della legge 326/2004 emanata su proposta del ministro Tremonti, istitutiva dell'Istituto Italiano di Tecnologia. La spesa per quest'istituto privato è di 50 milioni per il 2004 e di 100 milioni per ciscuno degli anni che vanno dal 2005 al 2014. Mentre il finanziamento alle università pubbliche basta soltanto a pagare gli stipendi.
La progressiva infiltrazione di interessi politici ha reso gli organi di ricerca più importanti del Paese, come il CNR il cui consiglio d'amministrazione è in gran parte di nomina politica, dei pesanti carrozzoni, dove se non fosse per l'impegno e il genio di qualche serio professionista risulterebbero già inservibili.
In tutta questa situazione emerge però una riflessione d'altro tipo, che riguarda la natura stessa della ricerca e quale obiettivo essa debba prefissarsi. E' opinione comune, anche di molti ricercatori, che essa debba servire soprattutto allo sviluppo economico di un paese. Se fosse così perché non dovrebbe anch'essa seguire le direttive economiche moderne? In questo l'economia è chiara: ciò che non produce un immediato guadagno deve essere tagliato. Attribuire alla ricerca il primario scopo dello sviluppo economico è una precisa scelta, ed ha delle precise conseguenze. Sottoponendo la ricerca agli interessi economici, la si espone inevitabilmente ai rischi di un sistema che non punta certo agli esiti benefici di un eventuale ricerca, ma ai suoi profitti, con risultati drammatici nella sua concretizzazione. Un esempio pratico sono i fondi per la ricerca sulle malattie rare. Nel 2007 erano di 30 milioni di euro, 6 nel 2008,5 nel 2009 e 0 nel 2010. Lo studio di questo tipo di patologie e lo sviluppo di farmaci che ne consegue è un processo molto lento e non garantisce, a causa della loro bassa casistica rispetto ad altre con un'incidenza superiore, i due principali cardini su cui si basa l'economia: velocità e massimo profitto. Ecco la disastrosa conseguenza se si abbina alla ricerca lo sviluppo economico.
La ricerca deve avere come suo supremo scopo non la ricchezza dei Paesi ma il benessere dei Popoli. Concetti completamente diversi tra loro. Con ciò non vogliamo astrarci completamente dalla realtà pensando ad un sistema di ricerca fin troppo romantico, risulterebbe così un'irraggiungibile utopia, diciamo soltanto che la ricerca essenzialmente subordinata all'economia è un'arma fin troppo pericolosa. Non può sostenere lo stesso sistema che ora la uccide. Non abbiamo difficoltà a sostenere anche con una certa dose di cinismo e sicuri di crearci qualche nemico, che se la ricerca deve continuare a sostenere direttamente le teorie globali del massimo guadagno è meglio che si fermi qui. L'eventuale riforma proposta dal ministro Gelmini non fa altro che rendere ancora più precaria la ricerca. L'eventuale approvazione di tale riforma deve essere vista non come una sconfitta da cui ritirarsi ma come punto di partenza da parte di ricercatori e studenti per la rivendicazione di diritti quotidianamente traditi. La reazione che ha portato in strada migliaia di studenti e professionisti non deve arrestarsi, non deve dipendere dalle sorti di una riforma.

Giuseppe Pennestrì

mercoledì 2 febbraio 2011

Contributi a pioggia,a carattere torrenziale si sono verificati nella città dello Stretto,la citta' non è nuova a questo tipo di fenomeni atmosferici,per la caratteristica conformazione del suo assetto geo-morfologico-politico.I più colpiti,in assoluto, enti para-assistenziali,associazioni culturali-parentali,organismi socialmente utili,i danni si aggirano intorno a svariati centinaia di migliaia di euro che purtroppo sono andati sprecati.Tra i feriti ,pare una donna,che inconsapevole si è ritrovata nella bufera!
Nonostante la zona sia affetta da questo tipo di turbolenze climatiche, si terrà in questi giorni,l'ennesimo incontro per l'attuazione del Ponte ,unico rimedio possibile come modello di sviluppo e riparo da simili tragedie climatiche, pare tra l'altro che la faraonica(mubarak)costruzione sia in grado di deviare le attenzioni di Eolo dall'area peloritana,dirottandole verso altri lidi.
Assolutamente addolorati per quanto avvenuti e distratti dal dispiacere i consiglieri comunali votano due delibere identiche,superando oltremodo la fantasia e la ..........Prima Repubblica,il dolore provoca brutti scherzi,come la memoria.