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sabato 22 ottobre 2011

La fine del colonnello "cattivo"


La "libertà" ha trionfato ancora una volta. Le bandiere possono sventolare sulle città liberate e sospiri di sollievo possono uscire dalle bocche dei capi di Stato di mezzo mondo. Un altro atto del consueto dramma si è concluso. Ma il teatro "stranamente" è ancora pieno di spettattori che applaudono entusiasti per come si è chiuso, e si può esser certi che chiederanno il bis gridando "libertà" ogni volta che un corpo cadrà massacrato dai proiettili di un esercito "regolare" o commuovendosi ogni volta che una bomba della Nato sbaglierà obiettivo. Cosa volete farci? E' un pubblico molto esigente.

La morte è arrivata annunciata da famose sigle e da giornalisti abili nel nascondere la coda scodinzolante (ma non la bava alla bocca) a ricordarci che la guerra in Libia non era ancora finita, che mancava ancora un corpo all'appello, di certo quello più illustre, quello che permette di gridare - non importa se prematuramente- alla vittoria. Non il corpo inutile di un "pezzente" di civile per niente famoso, quelli non contano. Come si è già detto il pubblico è molto esigente e non si accontenta di certo delle comparse, esige il sangue del protagonista cattivo. Vuole con bramosa curiosità vedere in primo piano il volto del celebre morto e illudersi con convinzione che ci sia al mondo un pericoloso criminale in meno.

E' interessante notare come nel nostro schizofrenico occidente la visione della figura di Gheddafi sia spesso mutata a seconda dei momenti e delle occasioni politiche. Fino a ieri era massacratore della libertà, il mostro da evitare salvo quando si doveva parlare d'affari, assassino delle libertà civili, compare del più grande presidente puttaniere mai scoperto in Italia, terrorista, approfittatore, ricattatore, il diavolo in terra. Fino a ieri! Poi arriva la Nato e tutto cambia. Inizia la maniacale corsa alle posizioni da mantenere quindi: "alle armi"! "Ognuno al proprio posto di combattimento"! Prima missione: riabilitare di colpo Gheddafi, non più quinta essenza del male ma speranza dei popoli. Adesso il "mostro" serve per catalizzare l'odio su una battaglia più grande, in risposta alle istituzioni e ai mass media che non lo vedono più come amico ma come nemico. Mouammar diventa quindi guerriero valoroso e poco importa se questo sia vero o finzione. Bisogna dare necessariamente l'apparenza eroica- rivoluzionaria al proprio posizionamento. Ed ecco che il dittatore diventa il più adatto parafulmine, l'ombrello sotto il quale riparare ogni vecchia e nuova rivoluzione nella corsa frenetica alla posizione su strade che sembrano oggi dei rischiosi tapis roulant in cui più si corre e più si resta fermi.

In quarant'anni il colonello è stato nel bene e nel male utile a tutti. Agli Stati per la loro sete di petrolio e per le loro periodiche alleanze strategiche sul piano della geopolitica. Al sistema economico internazionale soprattutto bancario, pompando denaro fresco nelle avide casse dei più rinomati istituti di credito salvandoli spesso da una fine ingloriosa. E' stato fino a ieri utile all'opinione pubblica che ha bisogno del cattivone di turno per esercitare il nauseante esercizio di sentirsi "migliori", di scaricarsi come al solito le coscienze,di esaltare la nostra bella, luminosa e pacifica civiltà.
Il popolo libico ben presto si accorgerà della trappola in cui è caduto, rimpiangendo quasi sicuramente il colonnello. Il nostro "Occidente" vigliacco invece "piangerà" solo la fine dell'ennesimo capro espiatorio.

Giuseppe Pennestrì

martedì 18 ottobre 2011

INDIGNAZIONE IN PIAZZA


Da ormai cinque mesi si moltiplicano negli stati capitalisti le grandi dimostrazioni di piazza dei così detti "indignati", gente stufa che ha deciso di affrontare i potenti della politica e della finanza attraverso rumorose manifestazioni di massa. Ovviamente non è certo una ribellione tale da poter seppellire il sistema liberista mondiale, ma è comunque un qualcosa che nel mondo moderno non si era mai visto.

Le sincere manifestazioni di questi cinque mesi sono figlie della crisi economica iniziata tre anni fa che ha fatto sorgere nell'animo delle genti sdegno, collera ed infine la consapevolezza che responsabile di ciò è l'alta finanza e principalmente le banche.

Quella del 2008 non è la prima delle crisi nella storia del capitalismo ed ogni qual volta se ne verifica una le conseguenze negative maggiori sono sempre per le classi più deboli, con sempre più gravi tagli allo stato sociale, la diminuizione dell'occupazione, l' abbassamento di salari e stipendi, la vendita dei beni pubblici agli speculatori privati; il risultato è sempre lo stesso: i poveri saranno sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi, gli sfruttati sempre più sfruttati e i potenti sempre più potenti.

Ad oggi i 16 Paesi schiavi dell' Euro contano, secondo le statistiche ufficiali Eurostat dello scorso mese di luglio, 15,8 milioni di disoccupati (pari al 10%) mentre i restanti 11 Stati dell'UE ne contano poco più di 11 milioni. I governi degli Stati più in crisi, cioè più indebitati, (Grecia, Portogallo, Islanda) non hanno trovato di meglio che chiedere enormi prestiti alla Banca Centrale Europea per fare fronte ai debiti accumulati: questi prestiti usurai vengono chiamati "aiuti". La sintesi è più o meno questa: nel tentativo di curarsi dalla malattia si compiono le medesime azioni che ti hanno portato ad essere malato.

In ogni caso la BCE pretende che i debiti vengano pagati e la soluzione dei governi europei, sospinta, o per meglio dire, imposta dalla stessa BCE, è stata quella ridurre la spesa pubblica in campi come istruzione e sanità, di abbassare il livello dei salari pubblici (fino al 30%, come succede oggi in Grecia).

La situazione negli Stati Uniti è la medesima; il Congresso, in mano anch'esso alle banche, non è stato in grado di approvare l'American Job Creation Act, una legge che avrebbe permesso il recupero di oltre 400 miliardi di dollari e che invece ha scatenato i manifestanti fuori da Wall Street, simbolo mondiale del capitalismo.

I cortei di protesta degli "indignati" ed il loro propagarsi in ogni Capitale dell' Occidente liberista hanno finalmente risvegliato la volontà di giovani e non di non stare più passivamente a guardare ed a subire le atrocità che il sistema mondialista compie su tutti i popoli della Terra ed hanno indicato il loro dito indice contro la finanza, contro le banche, le oligarchie economiche vere responsabili della crisi.

Per uscire da quest'ultima non abbiamo bisogno di ricette economiche, espresse per altro in malafede, ma di uomini disposti a gridare il loro NO a quello che è il vero nemico da abbattere, il cancro da estirpare di quest 'Era moderna: il sistema capitalistico mondiale.

Ivano Perduto