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sabato 31 marzo 2012

L'UNITA' NEL DEBITO LI SEPPELLIRA'


E' sorprendente notare come esistenze e quotidianità disunite per tanto tempo possano, d'un tratto, ritrovarsi unite dalle sciagure che l'economia del debito e la prassi dell'autoritarismo fanno piombare su di esse. 

Negli ultimi mesi si è assistito ad un attacco massiccio da parte della cultura dominante contro la sovranità e la dignità umana che ha ulteriormente, quasi paradossalmente, contribuito ad accrescere il sentimento di unità tra gli uomini in cerca di liberazione. 

Dal default greco dato ormai per certo alle ciniche delocalizzazioni e attacchi ai mezzi di tutela per i lavoratori in Italia, dai raid israeliani per rappresaglia sulla Striscia che hanno appena causato la morte di 14 civili palestinesi ai gesti estremi di disobbedienza civile dei contadini e attivisti no tav nella valle assediata da un autoritarismo ottuso e violento, dall'unione dei moderati per le riforme del lavoro "necessarie" a precarizzare larghe fasce di popolazione ai regimi d'austerity imposti a mezza Europa in bancarotta. 

Il cittadino indebitato, l'uomo indebitato in sé rappresenta oggi l'unica via di salvezza per uscire dall'indebitamento della nostra esistenza. 

Dove il debito e i soprusi ci uniscono nasceranno nuclei di resistenza umana pronti a rovesciare l'unità del debito in unità fuori e contro il debito. 

Appoggiare ogni mobilitazione, creare occasione di confronto e di aggregazione, soffiare sul fuoco della rivolta è oggi più che mai giusto e necessario. L'unità nel debito, li seppellirà.

Marco masulli

mercoledì 28 marzo 2012

NO TAV, SI ALLA VITA!


Da sempre l'edificazione di grandi opere ha significato l'esistenza di grandi civiltà e di grandi passaggi storici, non è il caso di questa recente Italia che purtroppo di civile ha ben poco. 

Se vent'anni fa, e nutriamo dei seri dubbi anche su questo, poteva avere un senso, la costruzione di un tunnel lungo piu di 13km per snellire il traffico di merci e di uomini e collegare senza essere bypassata l'Italia del mercato dal resto d'europa, oggi proprio, a parte tutte le altre considerazioni non meno importanti, questo senso è privo di logica, almeno per chi crede ancora in una diversa visione della politicia rispetto all'accezione odierna di questo termine.

Le considerazioni di cui parliamo, sono in fondo molto semplici e prevedono tra l'altro una giusta contrapposizione: intanto, scavare tra le montagne della Val di Susa per un periodo così lungo sottopone la popolazione del luogo a rischi sanitari elevatissimi, in quanto esistono fortissimi rilevamenti di amianto e uranio con le debite conseguenze che ne potrebbero scaturire dalla fuoriuscita; ancora, dal punto di vista ambientale un cantiere aperto per almeno 10 anni non può che causare dissesti idrogeologici sul territorio, modificandone le naturali conformazioni, creando possibilità di frane e rendendo l'aria irrespirabile. 

Con questa situazione in atto non si potrà a lungo parlare di sviluppo turistico, anzi al contrario ci ritroveremo davanti a un blocco totale di quelle risorse che hanno reso la Val Susa un luogo tipico per le attrattive di natura turistico commerciale; di conseguenza a risentirne ne sarebbe l'economia di tutta la zona in modo irreversibile, con la conseguente perdita di posti di lavoro. 

Gli unici soggetti a trarne ovvio beneficio sarebbero le imprese e le ditte esterne incaricate del lavoro, gli abitanti delle valli sarebbero defraudati di ogni possibilità lavorativa per un lungo periodo e ciò renderebbe incerto il futuro delle giovani generazioni. 

Tutto ciò, e ancora di più, per fare Torino - Lione in meno di 2 ore? Ciò non è utile a nessuno in quanto al momento non è giustificato il movimento di merci e di uomini proprio in quelle zone, forse non c'era neppure prima ma è notorio che le grandi opere servono spesso ad arricchire interessi di altro tipo per favorire gruppi economici cui poco interessa dei bisogni della gente e che molto si occupano invece di movimenti di denaro. 

Se è vero da ciò che risulta che questo carrozzone prevede un investimento di quasi 23mld di euro, ecco che il cerchio si chiude; provate ad immaginare chi può essere interessato a questo fiume di denaro, di certo non i valligiani e i loro figli. 

Peraltro non essendo reale che l'Italia debba necessariamente rispettare gli impegni presi durante la trattativa europea con i colleghi francesi, sarebbe auspicabile, e dal nostro canto propositivo, riconveritre eventualmente queste cifre per interessi legati si al fondo europeo, ma di natura sociale e più diretta. Per esempio: perché non rafforzare la rete ferroviaria interna a beneficio dei lavoratori pendolari e migliorare i collegamenti turistici? 

Ciò comporterebbe un miglioramento della qualità della vita degli abitanti della valle e favorirebbe lo scambio, quello si di merci interne, consentendo un notevole e vantaggioso sviluppo turistico, rivalutando un naturale ritorno economico in quei luoghi con la creazione di nuovi posti lavoro. Si eviterebbero i suddetti disastri sanitario ambientali e la montagna e gli uomini tornerebbero a respirare. Utilizzando gli stessi fondi si aprirebbe una proposta di sviluppo imperniata sull'incentivazione della produzione locale anziché mortificarla, ci riferiamo a tutto ciò che quelle zone potrebbero produrre e ridistribuire. Infine, e non ultimo, si eviterebbero naturali e malevole infiltrazioni di natura mafiosa che eviterebbero l'estendersi di un cancro al nord già presente. 

Siamo purtroppo però prigionieri di una miserabile politica fatta da miserabili uomini, siano essi governi tecnici o governi circensi (appena quattro mesi fa nani e ballerine occupavano il palcoscenico della cosa pubblica); questo è lo specchio dell'epoca attuale con la quale le nuove generazioni dovranno confrontarsi. 

Il vero scontro non è tra finti rivoluzionari o pecorelle, cosa della quale poco c'interessa, ma tra generazioni che dovranno presto confrontarsi con il loro futuro. Preferiamo prendere la parte di chi con dignità non abbandona le colline della Val di Susa per non recidere le proprie radici svendendole per quattro soldi davanti a un buco di migliaia di metri. 

Tutto questo però, ci teniamo a dirlo, non può passare solo da canali istituzionali, in quanto occorre alle volte delegittimare chi, pretendendo di rappresentare, preferisce prostituire se se stesso e gli altri sull'altare del fittizio bene comune per poi consegnarsi al proprio padrone. 

Per noi dev'essere la vera volontà popolare, sociale, lavorativa ad avere l'ultima parola, quindi opporre all'arroganza di oligarchi e dei loro servi, la determinazione di comunità e moltitudini di uomini liberi, forti delle loro scelte.. e la scelta è: NO TAV, SI ALLA VITA!

Antonio Toscano

martedì 27 marzo 2012

VENTI DI GUERRA SU DAMASCO

Partiamo dal presupposto che la Siria non è ad oggi ciò che noi chiameremmo un Paese libero (anche se il 26 febbraio, nel silenzio, è stato approvato un referendum costituzionale (dall'89,4%), che mette fine al sistema monopartitico, fissando il limite dei mandati presidenziali a due e stabilendo che il parlamento siriano, sarà per metà composto da operai e contadini); dobbiamo allo stesso tempo rammentare che nemmeno uno degli Stati che dall'esterno cercano di dare lezioni di democrazia, ha mai applicato realmente il principio democratico.
 
Il punto non è la mancanza di libertà o diritti in questo o in quell'altro "Stato canaglia", (altrimenti ce ne sarebbero, secondo questa logica, guerre da combattere anche contro avversari di gran lunga più forti e potenti della piccola Siria, a cominciare dalla Cina); di fatto quello che si sta verificando oggi in Siria è il tentativo di consolidare il potere anglo-americano in un Mediterraneo da inglobare totalmente dentro "l'impero", creando ad arte tensioni e crisi di vario genere atte a cambi di regime per la formazione di governi filo-yakee che permettano lo sfruttamento di quelle terre sia dal punto di vista economico che politico.

Anche in Siria gli USA usano il solito metodo dimostratosi efficace in molte altre occasioni nel corso dei decenni (ultimo caso la Libia): contingenti di irregolari senza reale peso politico tra la popolazione, fedeli alla linea statunitense che si dichiarano portavoce del popolo e che vengono presentati come tali dai prezzolati mediaoccidentali.

Nel caso siriano (come il quello libico) questi sono gruppi di fondamentalisti islamici armati dalla CIA (Waghshington Post, 18 aprile 2011) che stanno attaccando con metodi terroristici il governo del quale gli USA e i suoi obbedienti alleati si vogliono sbarazzare. La risposta governativa è stata ed è, naturalmente e legittimamente, di natura militare.
Ovviamente i mezzi di(dis)informazione, come al solito, non potevano di certo esimersi dal raccontarci la solita solfa delle presunte stragi di massa da parte delle forze armate regolari sui civili, legittimando quindi l'ipotesi che gli "esportatori di democrazia" intervengano militarmente per "liberare" i siriani che in massa, a loro dire, richiedono il loro "aiuto".

Niente di più falso, oggi in Siria come ieri altrove. Basti dire che il New York Times, il 13 gennaio di quest'anno, ha dovuto ammettere che "l’affluenza in piazza Sabaa Bahrat a Damasco ha sottolineato ancora una volta il grado di sostegno che Assad e la sua dirigenza godono fra molti siriani dopo quasi sette mesi di sollevazione popolare.

Questo appoggio è particolarmente forte in città come Damasco e Aleppo, le due maggiori del paese". D'altronde si continuano a spacciare per manifestazioni antigovernative immagini e video che in realtà mostrano manifestazioni pro-governative; i vessilli del partito al potere, le bandiere di Stato e soprattutto i ritratti di Bashar Assad che si notano in queste "manifestazioni di protesta" non sarebbero certo graditi a chi sta con i "ribelli".

Ed anche Henry Kissinger ammette che "la grande maggioranza dei siriani sta con Assad e il paese ha l’appoggio dell’Iran, Russia e Cina", per poi aggiungere: "Dobbiamo continuare a mantenere alte le fiamme che abbiamo acceso e farla bruciare internamente. Noi non possiamo rinunciare ai nostri interessi e dobbiamo continuare e destabilizzare la Siria per ottenere ciò che vogliamo".

E dal maggio 2011 stanno tentando di farlo ma come quella straordinaria potenza che fu l'Impero Mongolo sono stati costretti a fermarsi proprio davanti le mura di Damasco. Il nostro augurio è che quelle mura rimangano inviolate e che solo e soltanto il popolo siriano sia artefice del proprio destino.

Jean Trouvè