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sabato 28 aprile 2012

LIBERI DI SCEGLIERE O SCEGLIERE DI LIBERARSI? -parte seconda-


Carissimi lettori, nel numero di Febbraio vi avevamo lasciato in sospeso su uno spunto di riflessione, dopo una breve e sommaria analisi di questa nostra società ormai alla deriva, esprimevamo la necessità di una decrescita. 

Ma cosa sarà mai questa decrescita?! 

Noi di Costruire contropotere non vogliamo appropriarci di questa teoria ma semplicemente divulgarla sulle nostre pagine. Colui che ha elaborato questo concetto è Serge Latouche, un economista e filosofo contemporaneo che ha notato, da buon osservatore il declino della/nella modernità, a causa di un'occidentalizzazione prepotente e assassina delle culture sostenendo ( in parole semplici) che per “salvarci”, dobbiamo fare alcuni passi indietro in termini di: Economia e Tecnologia . 

Latouche sostiene che, è impensabile che in un mondo “finito” (limitato) si ambisca a una crescita (in termini economia e quindi mercato) infinita, che la produzione smodata al fine ultimo di accumulare ricchezza a discapito del pianeta e di chi lo abita, è una scelta che ormai non si può (e non si deve) più attuare, e nella maniera che c'è concessa fronteggiare questo sistema. 

La tecnologia incalzante, che mira sempre più alla sostituzione dell' Uomo dal centro della scena, sostituendolo con chip e touch screen, era uno scenario da film post apocalittico che prima eravamo abituati solo ad immaginare ma che è diventata una tristissima realtà e che se non arrestiamo (con piccoli semplici pratiche che Latouche suggerisce nei sui libri e seminari) ci porterà all'autodistruzione. 

E' bene però precisare un concetto, per evitare che ci si prenda per “TOTAL ANTI”; fare passi indietro non vuol dire regredire, quindi dimenticare tutti i progressi in campo scientifico che l'uomo ha fatto, bensì rivedere il suo operato e continuarlo in maniera equa e sostenibile nel rispetto della Natura, delle Culture e dei Popoli.

Ahinoi come una torre di Babele ci stiamo inclinando verso il suolo. 

I rimedi logici sono due: o restiamo impassibili, inermi davanti alla caduta, e perchè no accelleriamo questo processo d'inclinazione e quindi velocizziamo il crollo, nella speranza che chi poi ricostruirà lo farà in maniera oculata, oppure iniziamo a eliminare piani ridimensionando la torre e salviamo il salvabile.
Christian Basile

venerdì 27 aprile 2012

LAVORO: SANGUE DELLA CRISI


Dati alla mano, parlare della situazione del lavoro oggi è come stilare un bollettino di guerra. 

Dalla condizione dei lavoratori, alla dilangante disoccupazione, all’aumento dei cassintegrati, alla chiusura di migliaia di piccole e medie imprese e ai conseguenti licenziamenti. Il quadro che ne esce è catastrofico e, sebbene in modi diversi, concerne occupati e non. 

Secondo i dati Ocse la disoccupazione nel nostro Paese ha raggiunto il 9,3%, ciò significa che colpisce ormai quasi una persona su 10. Certo, in Spagna il tasso è del 23,3 ma, mal comune mezzo gaudio? Difficile accettarlo in questi casi, l’unico sentimento plausibile forse è sdegno, rabbia. 

E soprattutto i giovani hanno poco di che sperare: secondo l’istat infatti il tasso di disoccupazione relativo alla fascia dei 15-24enni attivi si attesta al 32,6%; in altri termini, un giovane su 3 è tristemente a spasso. Al sud infine addirittura una donna su 2 non ha lavoro. 

C’è poi chi il lavoro lo perde e con esso le certezze sul futuro: Nel 2011 sono state presentate in Italia 1.337.898 domande di mobilità, con un aumento vertiginoso proprio tra il novembre dell’insediamento del messia Monti e dicembre..quando si dice miracoli! 

Tutto questo in nome di una crisi inventata ad arte ma i cui effetti sono più che reali. 

Solo nel 2011, secondo i dati della Cgia di Mestre, oltre 12mila aziende hanno chiuso per fallimento; ben 50mila persone hanno perso il lavoro. Il settore più in crisi è il tradizionale, quello agricolo: Coldiretti denuncia la chiusura di più di 50mila aziende nel settore.  

A conferma dei tempi tristi che stiamo vivendo, altri numeri, quelli dei morti suicidi per il lavoro o i debiti: gli ultimi dati a riguardo, diffusi dalla Cgia di Mestre ne rilevano un aumento del 24% dal 2008 al 2010. Ma solo in quest’ultimo mese se ne contano una decina, dall’inizio dell’anno sono più di venti. 

Queste sono le tremende conseguenze di un liberismo sfrenato, dell’interesse economico che prevale sulla vita, di una concorrenza che non sente ragioni e trascina con la sua ferocia i più deboli. 

E finchè accetteremo passivamente il capovolgimento dei valori, che ormai da qualche secolo predomina, le vie d’uscita sembrano inesistenti. 

Assoggettati alle logiche capitaliste del profitto, che intanto si sono affinate e trovano oggi più che mai espressione nei meccanismi che muovono le fila di quanto accade nei singoli Stati, tramite diktat imposti da BCE ed FMI, oltre che dai soliti immensi poteri economici nazionali e sovranazionali. 

Tutto ciò è la dimostrazione più lampante di come questo sistema abbia fallito, di come ci voglia ridurre a meri ingranaggi strumentali al suo funzionamento. 

Non è più tempo di lasciare che la storia si radichi in questo vortice senza uscita di denaro che chiama denaro. L’alternativa c’è e parte dall’abbattimento globale di questa struttura economica, per ritornare ad essere persone e non automi chiamati a produrre e consumare finchè non diventiamo scarti da buttare.
Vincenza Bagnato

giovedì 26 aprile 2012

TRA FINANZA E REALTA'


Il distacco tra le decisioni delle istituzioni politiche ed economiche e la realtà quotidiana di chi le subisce e delle frange di opposizione che tentano di frenare l'avanzata dei tecnocrati non è solo un male italiano ma coinvolge l'intera Europa. 

In Spagna in risposta all'ultimo sciopero generale del 29 marzo contro la manovra tutta tagli e tasse di 30 miliardi di Mariano Rajoi è arrivato un ulteriore taglio di 10 miliardi  ai danni di sanità e istruzione. 

Fedeli al detto "un colpo al cerchio e uno alla botte" il governo spagnolo ha annunciato anche una riforma penale volta alla repressione di chi si oppone. Si discute di includere in tale provvedimento reati quali "resistenza passiva o attiva", "attentato alle autorità", "delitto di partecipazione a organizzazione criminale" e arresti preventivi. Tutto pur di bloccare sul nascere manifestazioni non preordinate con tanto di permesso.

In Romania, dopo le privatizzazioni delle imprese pubbliche, l'aumento dell'Iva al 24%, la diminuzione del 25% per gli stipendi pubblici, tagli alla maggior parte dei sussidi sociali, a fine aprile-come se nulla fosse accaduto-l'Fmi busserà alla porta di Bucarest per la revisione degli accordi dei prestiti di 5,4 miliardi nel 2011 e 20 nel 2009.

In Grecia le stime dell'Unicef parlano di 439 mila bambini che sofforno la fame. Il 25% della popolazione ha raggiunto ormai la soglia di povertà. Ma il 20 aprile, poveri o no, il governo Papademos approverà il piano di ricapitalizzazione delle banche greche con l'aiuto previsto di 50 miliardi dell' accoppiata Ue e Fmi.

Tale distanza non fa altro che  evidenziare lo strapotere della finanza mondiale gravato tutto sulle spalle dei popoli, inchiodati invece ad un'economia reale da fame, creando un ulteriore abisso tra i sempre più ricchi e i sempre più poveri, lasciando quest'ultimi ai margini, fuori da ogni potere decisionale, importanti solo come merce. 

Almeno fino a quando la misura non sarà colma e non decideremo di dire basta.

Giuseppe Pennestrì