Dati alla mano,
parlare della situazione del lavoro oggi è come stilare un bollettino di
guerra.
Dalla condizione dei lavoratori,
alla dilangante disoccupazione, all’aumento dei cassintegrati, alla chiusura di
migliaia di piccole e medie imprese e ai conseguenti licenziamenti. Il quadro
che ne esce è catastrofico e, sebbene in modi diversi, concerne occupati e
non.
Secondo i dati Ocse la
disoccupazione nel nostro Paese ha raggiunto il 9,3%, ciò significa che
colpisce ormai quasi una persona su 10. Certo, in Spagna il tasso è del 23,3
ma, mal comune mezzo gaudio? Difficile accettarlo in questi casi, l’unico
sentimento plausibile forse è sdegno, rabbia.
E soprattutto i giovani hanno poco
di che sperare: secondo l’istat infatti il tasso di disoccupazione relativo
alla fascia dei 15-24enni attivi si attesta al 32,6%; in altri termini, un
giovane su 3 è tristemente a spasso. Al sud infine addirittura una donna su 2
non ha lavoro.
C’è poi chi il lavoro lo perde e con
esso le certezze sul futuro: Nel 2011 sono state presentate in Italia 1.337.898
domande di mobilità, con un aumento vertiginoso proprio tra il novembre
dell’insediamento del messia Monti e dicembre..quando si dice miracoli!
Tutto questo in nome di una crisi
inventata ad arte ma i cui effetti sono più che reali.
Solo nel 2011, secondo i dati della
Cgia di Mestre, oltre 12mila aziende hanno chiuso per fallimento; ben 50mila
persone hanno perso il lavoro. Il settore più in crisi è il tradizionale,
quello agricolo: Coldiretti denuncia la chiusura di più di 50mila aziende nel
settore.
A conferma dei
tempi tristi che stiamo vivendo, altri numeri, quelli dei morti suicidi per il
lavoro o i debiti: gli ultimi dati a riguardo, diffusi dalla Cgia di Mestre ne
rilevano un aumento del 24% dal 2008 al 2010. Ma solo in quest’ultimo mese se
ne contano una decina, dall’inizio dell’anno sono più di venti.
Queste sono le
tremende conseguenze di un liberismo sfrenato, dell’interesse economico che prevale
sulla vita, di una concorrenza che non sente ragioni e trascina con la sua
ferocia i più deboli.
E finchè accetteremo passivamente il capovolgimento dei
valori, che ormai da qualche secolo predomina, le vie d’uscita sembrano
inesistenti.
Assoggettati alle logiche capitaliste del profitto, che intanto si
sono affinate e trovano oggi più che mai espressione nei meccanismi che muovono
le fila di quanto accade nei singoli Stati, tramite diktat imposti da BCE ed FMI, oltre che dai soliti immensi poteri economici nazionali e sovranazionali.
Tutto ciò è la dimostrazione più lampante di come questo sistema abbia fallito,
di come ci voglia ridurre a meri ingranaggi strumentali al suo funzionamento.
Non è più tempo di lasciare che la storia si radichi in questo vortice senza
uscita di denaro che chiama denaro. L’alternativa c’è e parte dall’abbattimento
globale di questa struttura economica, per ritornare ad essere persone e non
automi chiamati a produrre e consumare finchè non diventiamo scarti da buttare.
Vincenza Bagnato
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