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venerdì 29 ottobre 2010

Ricercatori di diritto

Nuovamente il ddl Gelmini sulla riforma dell'istruzione, è tornato alla carica, facendo parlare di se, facendo scendere in piazza gli studenti affiancati straordinariamente da docenti e ricercatori.
A turbare gli animi dei ricercatori vi è un'ombra d'instabilità economica che gia da tempo aleggia sulla loro testa ;con la grande manovra Tremonti-Gelmini altri tagli sono stati preannunciati, e se prima a diminuire erano solo i fondi destinati alla ricerca, ora anche gli stipendi dimagriscono, e la sicurezza dei contratti a tempo indeterminato, che un ricercatore acquisiva dopo anni di sacrifici, si dissolve nel nulla come una nube di fumo
La famigerata riforma non prevederà, una continuità lavorativa degli attuali ricercatori, i quali non potranno diventare professori associati e saranno dati in pasto alla precarietà della vita lavorativa, quindi senza più certezze, senza più stimoli, facendo andare il paese incontro ad un rapido deperimento culturale.
Ma accantoniamo per un attimo l'aspetto puramente economico della faccenda, anche se costituisce la principale motivazione della protesta, considerato che tutto origina dalla manovra finanziaria del ministro dell'economia, e andiamo ad analizzare quello pratico, apriamo una piccola parentesi e spieghiamo chi sono i ricercatori oggi.
La definizione di ricercatore, i suoi doveri e i suoi diritti sono stati definiti mediante la Carta Europea dei Ricercatori, una raccomandazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 5 marzo 2005 ,essa stabilisce che tutti coloro i quali operano nella ricerca dopo la Laurea o titolo equivalente sono da considerarsi Ricercatori: per i primi quattro anni "in formazione" (inclusi i dottorandi di ricerca e i borsisti), mentre in seguito sono da considerarsi "senior". La Carta prevede che non esistano discriminazioni nei diritti associati ai contratti e stabilisce la parità dei diritti tra i ricercatori a tempo determinato e a tempo indeterminato.
Ma allora ci domandiamo, che motivo c'è di scendere in piazza, a urlare il proprio dissenso nei confronti di un ddl che dovrebbe essere inferiore a una direttiva europea!? Semplicissimo, la Carta Europea dei Ricercatori non ha ancora trovato implementazione nell'ordinamento italiano, anche a causa dei costi aggiuntivi che lo Stato dovrebbe sostenere per garantire a tutti i ricercatori i medesimi diritti come raccomandato dalla Carta; e il decreto del presidente della repubblica 382 del 1980, che stabilisce dei ricercatori italiani ruoli e mansioni, che dovrebbe (in via del tutto teorica) tutelare questi ultimi, viene ignorato palesemente, anche per colpa di ricercatori conniventi (è doloroso ammetterlo ma c'è chi di necessità ne fa virtù, e fa valere la legge latina “mors tua vita mea”)
Trovato quindi il motivo per cui i nostri ricercatori hanno le palle girate.
Adesso facciamo un quadro della situazione e diciamo chi sono i ricercatori in Italia nelle nostre facoltà.
Sono quelle giovani figure sempre al servizio dello studente, che con passione e amore spiegano, al posto dei pigri o troppo impegnati docenti di ruolo, le materie piu disparate, sulle quali hanno speso anni e anni di studi, ma che non vedranno mai la loro firma apposta su un libretto di uno studente.
Che trascorrono giornate all'interno di ufficietti, ricavati a volte tra pannelli che separano quattro cinque postazioni in una stanza, chini sui loro pc, ma con la forza e la voglia di continuare.
Che nonostante vengano chiamati dai colleghi e dagli studenti professore/essa, a fine mese in busta pagano non trovano le “cifre” di un Professore che si rispetti.
Costretti a vivere di oggi, senza pensare ai domani, con la costante paura di finire in mezzo ad una strada (e non parlo metaforicamente) considerati i tagli e i ritagli degli ultimi anni nei confronti dei fondi destinati alla ricerca, e i contratti con tempi sempre piu striminziti.
Che non si vedono riconosciuti come figure giuridiche, e per tanto non aventi particolari diritti ( e conseguenti doveri) da rivendicare.
Insomma una categoria di lavoratori non certo invidiabile.
Ebbene i succitati ricercatori, prendendo come sfida il ddl hanno deciso di rientrare nei loro ranghi, (quelli di cui la legge 382/80 parla) ritornando a quelle mansioni che normalmente dovrebbero spettare ad un ricercatore.
In men che non si dica le facoltà si sono bloccate, perché nessun docente, pardon RICERCATORE era in aula a intrattenere una lezione, a dimostrazione che il motore pulsante e vivo della cultura nel nostro paese sono loro, e non i decrepiti e obsoleti baroni delle cattedra, che con le loro vecchie nozioni, e l'incapacità di mettersi al passo coi tempi rallentano e fanno regredire, rispetto all'Europa, generazione dopo generazione di studenti. Questa volta la supposta è cosi grande, che oltre a “colpire” lo studente di oggi, il lavoratore di domani colpisce i ricercatori di ieri, che si sono per la prima volta mobilitati per rivendicare i loro diritti, quei pochi diritti che gli erano riconosciuti appena, e che con il decreto entrante verranno negati del tutto.
Quindi studenti, colleghi, popolo apriamo gli occhi! Questa non è una battaglia esclusiva per chi in Italia tenta di far ricerca, è una lotta di tutti!

C.Basile

martedì 26 ottobre 2010

DUE UOMINI, UN'UNICA STRATEGIA.

Nella pochezza umana dello scenario politico ed economico italiano, ammettendo che esista oggi una vera differenza tra i due,risaltano le affermazioni dell'a.d. della Fiat Marchionne e del Ministro dell'Interno Maroni. Il primo dichiarando che se non fosse per l'Italia la Fiat sarebbe di certo in condizioni migliori, l'altro minacciando l'uso della forza se i disordini di Terzigno dovessero continuare. Semplici deliri di onnipotenza da parte di due organi dello stesso sistema o lancio di precisi segnali? Chi ricopre cariche di tale importanza molto raramente spende parole a caso. I messaggi, oltre il fumo dell'apparenza, sono chiari in tutta la loro pesantezza. Marchionne dimostra di conoscere perfettamente la posizione di debolezza di uno Stato "proponendo" il suo ricatto ad un'intera e trasversale classe politica. O alle sue regole o la Fiat delocalizza ogni sua fabbrica. Adesso può finalmente liberarsi, dire ciò che pensa realmente. Di certo non è una coincidenza che questo avvenga solo dopo l'ingresso della Fiat nell' immenso mercato americano. Evidentemente l'Italia è un optional, e quest'ultimi hanno il loro prezzo. Se il modello e le regole sono quelle di Pomigliano c'è poco da stare allegri. Che stronzi e ingrati quegli operai che credono che oltre il lavoro ci sia anche una Vita da vivere, fatta di affetti, di amori,di passioni, della voglia di genitori che vogliono vedere i propri figli crescere, di rivendicazioni di diritti legittimi. Ma questo per lui e per ciò che rappresenta non ha la minima importanza. Si prende gioco dei "propri" operai definendosi un metalmeccanico, guadagnando somme che i metalmeccanici, quelli veri, non riuscirebbero a guadagnare nemmeno in tre vite. L'arroganza è tale che la risposta più adatta sarebbe quella,citando Gomorra di Saviano, "di un gancio, o una testata sul setto nasale". Ma non vogliamo dare ai porci appigli sui quali arrampicarsi.
Se il mondo economico,attraverso le parole di un amministratore delegato libera il suo stridulo canto, la politica non è da meno. Mediante le parole del ministro dell'Interno, riguardo i fatti di Terzigno, la sottile strategia dell'assenza dello Stato si trasforma ad un tratto in una soffocante presenza. Nel linguaggio istituzionale le minacce riguardo l'uso della forza possono essere riassunte nella frase, resa celebre dalla cinematografia, fermo o sparo. Ma questo non è un film, Terzigno non è Hollywood e la persone muoiono davvero. In una regione mille volte stuprata dalla spartizione di potere statale e quello criminale molte comunità si trovano tra l'incudine e il martello. Non è facile in questa condizione alzare la testa, scorgere una soluzione che altri da lontano reputano facile, distibuendo colpe e assoluzioni con la stessa facilità con cui si sceglie il gusto di un gelato. Non è facile pensare ad un altro mondo se quello che hai visto fino ad oggi è quello in cui hai vissuto da sempre. Il baratro è ad un passo. Quando non esistono più vie d'uscita, perchè questa è solo un ricatto, la soluzione può apparire solo oltre quel muro di scudi e manganelli, fatto anch'esso di uomini fin troppo tali da disubbidire ad un ordine stupido che pùò portare troppo velocemente ad un punto di non ritorno. Non si convinca nessuno che ciò che sta accadendo in Campania sia così lontano dalla nostra realtà quotidiana. E' molto più vicina di quanto si possa mai immaginare. Ma ognuno di noi come gli abitanti di Terzigno e dei paesi vicini, ha la possibiltà e la capacità di vedere oltre quel muro di uomini vestiti da Stato.
Due uomini che ricoprono due cariche diverse ma il cui obiettivo sembra essere uguale: stringere ancora di più il cappio al collo ad un popolo che tale più non è da un pezzo.

Giuseppe Pennestrì

giovedì 21 ottobre 2010

Adda ' a ferni' a nuttata..........pure a Terzigno!

Le immagini sono fin troppo chiare , anche se i fatti avvengono in piena notte, per l'esattezza tra l'una e le le due del mattino. La polizia per ordine del questore di Napoli carica , con estrema violenza , uomini , donne e giovani che manifestavano per la chiusura della nascente discarica di Terzigno.Gli abitanti della zona non vogliono che diventi agibile questa struttura poiche' intuiscono quanto sia dannosa per il loro paese e per quelli limitrofi la presenza di di questo sistema di smaltimento dei rifiuti. Come dar loro torto, basti pensare all' avvelenamento dell'aria che scaturisce dalle montagne di spazzatura che arrivano ogni notte da tutta la provincia partenopea, rendendo invivibile lo svolgimento di una vita normale tranne che non ci si abitui , a seconda del vento, a fetori insopportabili, per non parlare dei danni che si arrecano in un territorio che potrebbe trovare il suo giusto sviluppo nell' agricoltura e nell'edilizia, se si vuole si possono anche evidenziare i disastri di natura chimico-biologica. Ma il punto è anche un altro , come al solito ,non si tiene conto dell' esigenze e dei diritti del popolo. Con un atto di forza "legale" è stata scelta questa parte del territorio per, risolvere situazioni che di certo cosi' non hanno nessun riscontro positivo, a nesuno degli abitanti è stato chiesto se fossero più o meno d'accordo nell'attuazione di questo progetto , fin dentro le proprie case, bensi' sono bastate un paio di delibere votate dai soliti parvenu' dei vari consigli comunali e regionali per certificare una condanna a morte...civile , con l' approvazione degli organi dello stato poi il gioco è fatto. Complimenti! ora dove sono questi politici , sono forse accanto alla gente che che si ribella? Sono insieme a coloro i quali tutte le notti vegliano e si scontrano perche'i loro figli non respirino merda? Crediamo di no , anzi ne siamo certi, qualcuno si è associato al movimento di protesta , ma ben presto si è defilato , come nella migliore tradizione . Ma altresi , si deve riflettere su un fatto : se questi signori hanno permesso a chi sta al governo di sistemarsi le proprie deficenze organizzative solo perche' eletti quali servi degli stessi e del malaffare che ammorba quella zona è solo perchè qualcuno li ha votati, consapevolmente o meno, quindi siamo alle solite , bisogna pensarci prima siano essi di destra o di sinistra o di centro, vanno cancellati.non basta bruciare , come abbiamo visto, le schede elettorali nè bastano le scuse , in ritardo, del dottor Manganelli ai feriti di questa notte.Bisogna prendere coscienza che il Paese deve cambiare , sopratutto per le generazioni future!SOLIDARIETA'CON LE MADRI DI TERZIGNO. ANTONIO.

sabato 16 ottobre 2010

Francia, mon amour..............

Il malessere diffuso che si vive in tutta Europa, e del quale abbiamo accennato in precededenti articoli, si è manifestato ieri in maniera palese, con conseguenze che ancora si dovranno analizzare, in Francia.Ci riferiamo a quanto sta accadendo in tutto il territorio transalpino da un paio d'ore a questa parte, le dodici piu' importanti raffinerie sono in sciopero e cortei formati da studenti e operai hanno bloccato Parigi e Marsiglia, con i depositi di carburante bloccati è evidente che sono aumentati i disagi per la distribuzione dei prodotti su tutto il territorio a discapito dell' economia nazionale. Tutto parte dalla riforma voluta da Sarkozy e dal suo governo che continua a taglieggiare le fasce più deboli del Paese come per l'appunto i pensionati e i lavoratori tutti, bisogna aggiungere che anche il mondo della Scuola dell'universita'è in fermento per tutta una serie di provvedimenti che penalizzano questo settore ricadendo come al solito sul futuro dei giovani e degli stessi docenti che ormai scendono in piazza sempre più frequentemente. Questa situazione ha generato già i primi disordini e scontri con le forze di polizia(vedi Marsiglia). Il governo francese allineato sulla linea globalista transnazionale voluta dal suo presidente, non tiene conto delle reali esigenze del suo popolo, ma forse non si rende conto che a tirare troppo la corda questa potrebbe spezzarsi, in caso contrario siamo di fronte ad una arroganza che supera la malafede e comununque questa riforma " sociale" di sociale ha ben poco, crediamo che la morsa in cui è ristretta la società francese stia per rompersi,nonostante il potere economico "silente" e operante sia,senza dubbio , molto forte.Questo non vuol dire che non ci si possa almeno Ribellare.Martedi' è già pronto uno sciopero generale! Ce ne que un debut?

venerdì 15 ottobre 2010

PER I DOLLARI E L'ORO NERO


9 Ottobre 2010, giornata di dolore in Italia per la morte di quattro suoi militari mandati in missione in Afghanistan, caduti a seguito di un attacco talebano. La commedia di Stato, come sempre, non si è fatta attendere e presto si è espressa la “solidale partecipazione al dolore dei familiari dei caduti”, con tanto di faccine tristi e toni da concorrenza alle migliori rappresentazioni melodrammatiche.
Ora, certo non ci rallegriamo della morte di quattro persone, ma non possiamo non essere indignati di fronte a tanta ipocrisia, alla falsità di chi per motivi del tutto abbietti manda povera gente a morire per poi, quasi non si trattasse di naturali conseguenze, rattristarsi pubblicamente delle perdite.
Questa guerra ingiustificata, o forse giustificatissima se si ragiona in termini di industria bellica e petrolio, ha numeri che lasciano senza fiato: più di 300 miliardi i dollari spesi solo dagli usa e più di 300 milioni di euro al semestre sborsati dal nostro Stato; i nostri morti sono in tutto 34 dall’inizio della missione isaf (missione onu) nel 2004; più di 2000 i militari stranieri morti dal 2001 a oggi, appartenenti alla coalizione US-NATO. Già queste sono cifre da capogiro, ma il peggio lo dobbiamo ancora raccontare: poco più di 14 mila i civili afghani caduti a seguito di bombardamenti e combattimenti e circa 20 mila le uccisioni di civili da parte degli insorgenti e delle forze alleate, per un totale di più di 34 mila morti, tra vittime dirette e indirette del conflitto; 34 mila donne, uomini e bambini che non c’entravano niente e che questa guerra non l’hanno voluta (stime compiute da diversi organi: Project of Defence Alternatives, L.A.Times, Guardian , rierche del prof M.W Herold dell’università del New Hampshire, Human Wright Watch, Afghan Rights Monitor, e UNAMA).
Detto ciò, sfidiamo chiunque a continuare a commemorare ipocritamente quattro persone, in nome forse di un banale (e inutile) patriottismo, o per la convinzione di essere lì come liberatori ed esportatori di sana civiltà e democrazia; a questo riguardo i fatti parlano chiaramente: dall’inizio del conflitto il terrorismo è aumentato, i talebani sono più forti e il territorio che essi controllano più ampio.
Una riflessione quindi non può che partire dalle vittime, tutte quante; dai morti afghani e dai civili che vivono sotto scacco dell’occupante e nel terrore di una guerra senza fine, dai soldati morti e da quelli vivi, che domani forse moriranno, o che riusciranno a tornare a casa un giorno, portandosi a vita immagini indelebili. A questo punto,forte si impone una domanda: quale popolo civile manderebbe i suoi figli a morire? E anche ammesso, per assurdo a nostro avviso, che possa esistere una causa così rilevante da giustificare la guerra di uno Stato nei confronti di un altro, il quesito si fa più difficile per gli alleati se si guarda ai veri motivi di questo conflitto, i soliti, quelli che condanniamo ogni giorno, “perché il mercato e l’economia contano più delle persone, per i dollari e l’oro nero..”; le ragioni sono essenzialmente due, neanche a dirlo entrambe di natura economica.
Il primo riguarda le ingenti risorse naturali del Medio Oriente e dell’Asia centrale. L’Afghanistan non è ricco in sé, è un Paese povero di risorse e arido, ma è la sua posizione strategica dal punto di vista geografico, geopolitico e geoeconomico a fare gola agli occupanti. Il mar Caspio, infatti, è ricchissimo di petrolio (secondo recenti stime le riserve ammonterebbero a 200 miliardi di barili, per capirci, gli usa sarebbero a posto per trent’anni) e ingenti riserve di gas e petrolio si trovano anche nei Paesi limitrofi, come l’Uzbekistan, il Turkmenistan, il Kazakistan o l’Azerbaigian. Assumere il controllo di un area come l’Afghanistan quindi significherebbe da un lato poter navigare nell’oro (nero) e dall’altro impedire che le vicine Cina, India e Russia possano mettere mano su quell’autentica ricchezza, una questione di concorrenza dunque. Proprio lo Stato afghano è la cerniera tra i paesi centroasiatici e le nuove potenze mondiali, la sua posizione strategica appare chiaramente.
Poi abbiamo un fatturato di centinaia di miliardi di dollari, che l’industria bellica accumula dal 2001, con auree prospettive anche per il futuro, nell’ottica di una guerra infinita contro il terrorismo.
Fare la guerra infatti conviene, per la stretta correlazione esistente tra espansione economica e periodi di conflitto, confermata sul sito di un istituto governativo come il National Bureau of Economic Research, basti guardare i dati delle seconda guerra mondiale, o quelli della guerra in Corea, in Vietnam, nel Golfo, fino agli ultimi dell’occupazione irachena.
Altro che guerra preventiva contro il terrorismo, o legittima difesa in seguito all’attacco dell’11 settembre (giustificazioni comunque insostenibili addirittura per l’accomodante diritto internazionale), l’Afghanistan era nella “lista preferiti” degli USA già da tempo: un report del Foreign Policy in Focus, riferiva di un aumento delle spese militari già nel gennaio 2001, spese fatte lievitare dai 291miliardi di dollari del 1998 alla modica cifra di 310 miliardi, previsti per il bilancio 2001; mentre già a luglio, nell’ottica certo di una prevenzione che si fa addirittura premonizione, secondo un’inchiesta della Bbc, gli USA avrebbero annunciato un attacco imminente, qualora i talebani non avessero consegnato Bin Laden alle autorità americane.
Questo atteggiamento guerrafondaio rispecchia un po’ tutta la storia di uno dei Paesi considerati tra i più democratici e civili del mondo, la cui solidità si è mantenuta proprio grazie ad una politica di welfare-warfare.
Da una parte è necessario un intervento statale di welfare (minimo, non certo ‘invasivo’, sono gli Stati uniti, mica una Repubblica socialista!) volto ad assicurasi il consenso necessario tra la gente; un prezzo questo, che ognuno dei Paesi liberalcapitalistici è tenuto a pagare per preservarsi da un altrimenti inevitabile malcontento che s’ingenererebbe, di fronte a sistemi non costruiti per la persona, anzi ad essa estranei.
Dall’altro, una politica di warfare, a sostegno dell’economia. L’industria statunitense è infatti in gran parte collegata al settore bellico, per cui aumentare il bilancio della difesa vuol dire finanziare un cospicuo settore industriale, oltretutto non limitato all’ambito strettamente militare, ma che va ad inglobarne altri, da quello delle tecnologie ai beni di investimento. Non è un caso che il PIL statunitense abbia avuto una rilevante crescita proprio dal terzo al quarto trimestre del 2001 (quando è scoppiata la guerra) e che negli anni successivi non ha smesso di lievitare, anche grazie alla miracolosa guerra in Iraq.
Democrazia, libertà, civiltà, lotta al terrorismo sono slogan che nascondono ben altro, slogan che però spesso convincono e sono fatti propri, nell’ignoranza, dai sostenitori di queste tragedie.
E allora, quale popolo civile manderebbe i suoi figli a morire? Non so se voi avete trovato una risposta intanto. Noi si: solo quel popolo che, senza stato, cosciente si ribella a logiche di potere che lo degradano a mero burattino, quel popolo che vuole liberarsi dal giogo di chi lo usa, lo inganna, lo manda in guerra, lo bombarda, lo rende apatico, lo uccide e poi lo commemora.
Vincenza Bagnato.

giovedì 14 ottobre 2010

E se duecento hooligans italiani avessero messo a ferro e fuoco due ore prima della partita il quartiere attorno allo stadio della Stella Rossa e del Partizan e non avessero permesso il regolare svolgimento di una manifestazione sportiva , e avessero tolto il sorriso dai volti dei bambini serbi, se una scimmia senza cervello con pretese di capo- guerrigliero avesse inneggiato alla violenza in nome di non si sa cosa per poi nascondersi come un gatto spelacchiato nel motore di un pulmann, se tutto cio' fosse avvenuto, come avrebbero reagito le autorita' di BELGRADO? Questo non lo sapremo mai, quello che sappiamo è , di sicuro , che quanto verificatosi a Genova ha in se' qualcosa di anomalo e non solo!Alcuni interrogativi sono obbligatori, per esempio come mai un paio d'ore prima dell'incontro questi "signori" giravano per la città ubriachi e armati passando inosservati , se non dalle persone che subivano il loro fastidio ? Come sono entrati nelle tribune cosi' tranquillamente , quando i nostri tifosi ormai devono passare attraverso i metal - detector e alle volte non possono andare a seguire i propri colori fuori casa? Questo si ci deve fare riflettere ,fermo restando che episodi simili ci portano a considerare di un malessere diffuso che sta attraversando l'Europa e che sta diventantando sempre più crescente, davanti al quale non si interviene a nostro avviso perchè probabilmente questa diffusa instabilità, questo vuoto caotico favorisce l' ulteriore stordimento delle menti e l'ennesima spaccatura tra le genti, diciamo questo perche' ci sarebbe piaciuto abbracciare i fratelli Serbi prima e dopo la partita con uno spirito che ci viene dalla nostra vera cultura, che non è fatta di violenza come vorrebbero farci intendere,ma pervasa ancora di valori sani, avremmo voluto insieme ai nostri giovani,i giovani Serbi uniti in una serata di gioia e di sport, che magari avrebbe regalato loro momenti diversi da quelli che subirono dalla follia dell'imperialismo atlantico.Sappiano , in ogni caso , i falsi perbenisti che non intendiamo difendere falsi moralismi da bottegai, siamo avvezzi a ben altre situazioni, al contrario ci preoccupano maggiormente altre cose , quello di sicuro che ci colpisce è l'indifferenza dei mass- media pronti a ragliare a Genova ma a tacere sulle decine di chiusure delle fabbriche a Nord- est , con conseguente perdita del lavoro e di futuro di centinaia di operai(ultima la Indesit di Bergamo)e non solo, il crescente aumento della disoccupazione giovanile e l'abbandono degli anziani viene ormai considerata notizia superflua.Ma oggi è anche il giorno di una grande vittoria , la vita sulla morte , la grande dignita' di un paese , per troppo tempo offeso, trentatre operai nel deserto di Atacama , Cile del Nord riabbracciano i loro cari. Ci facciano pensare le braccia alzate verso il cielo di questi uomini,non quelle tatuate di altri! QUE VIVA CILE. Antonio.

mercoledì 13 ottobre 2010

Come gia' anticipato in precedenti scritti, anche recenti , sentiamo l'esigenza di chiarire in maniera definitiva la nostra posizione rispetto a quanto si agita in merito alla situazione politica attuale. Fermo restando che intendiamo comunque non distaccarci da un attenta osservazione dei fatti, in quanto non è solo occupandosi delle beghe interne del pdl o del pd o delle frattaglie che ruotano attorno a questi due pseudo- poli, che si può intervenire nella cosa pubblica.Per noi fare politica ha probabilmente un senso diverso,lo dimostra quanto diffondiamo con il giornale e cio' che esplicitiamo nei dibattiti sul blog, le nostre migliori intenzioni sono rivolte verso le nuove generazioni perche' sviluppino un senso realmente critico su quanto le circonda , e questo non puo' avvenire di sicuro se ci si ferma soltanto a pensare al costo di una casa a Montecarlo, ad un federalismo ottocentesco ,se è più bravo Vendola o Bersani , D'alema o Veltroni.Non che la situazione all'esterno sia migliore, quello che appare in maniera evidente è una frantumazione fino all'esasperazione sia a destra che a sinistra , per poi non fare altro che tornare sotto le ali protettive delle rispettive case di appartenenza!Tutto questo è veramente troppo vecchio, ma non solo, ci sentiamo di dire che probabilmente è in malafede , per l'ennesima volta.Uscire da queste logiche vuol dire pensare col proprio cervello e valutare i fatti per quello che sono, ossia la raffigurazione di una terribile commedia dell' arte , peraltro rappresentata male.Terribile perche' coinvolge anche chi vorrebbe che le cose andassero in un altro modo, quantomeno orientate verso il futuro dei giovani, invece, solo per citare un esempio, ci siamo gia' giocati due generazioni, sulle loro spalle si è costruito un vuoto esistenziale dal peso enorme , per fare posto a un mondo di arrivisti , poltrone , nani , ballerine, un mondo virtuale di lacche' e portaborse di falsi miti, di voti e vuoti a perdere anzi vite a perdere , incomprensibili gesti di follia collettiva e individuale spettacolarizzati fino all'estremo. Tutto ha di certo dei colpevoli, ma neanche questa è la soluzione , riappropiarsi di se' stessi, forse si!Mentre scriviamo speriamo sia conclusa positivamente la vicenda dei minatori cileni, in un mondo che non si commuove di niente , ci piace pensare agli ultimi all' abbraccio delle loro famiglie , al loro viso di nuovo baciato dal Sole, Questo ci emoziona. Antonio.

sabato 9 ottobre 2010

VIGLIACCHERIA MADE IN ITALY

L'incontro istituzionale tenutosi a Roma, tra il premier cinese Wen Jiabao,avvenuto il 7 ottobre, e i massimi vertici politici italiani, va guardato ed analizzato da due punti di vista. Il primo rientra tra i rapporti commerciali fra i due Paesi,l'altro va visto nell'ottica di un equilibrio economico mondiale che riguarda i maggiori attori dell'economia internazionale.
La visita in Italia avviene infatti, l'indomani dei contrasti di natura ovviamente economica, avvenuti a Bruxelles durante il vertice Ue-Cina. Punto in discussione sono proprio i tassi di cambio della moneta cinese,lo yuan. Europa e Stati Uniti accusano Pechino di sfruttare la svalutazione della propria moneta per favorire le esportazioni e quindi la crescita economica. Stessa identica operazione che avveniva in Italia ai tempi della lira. Manovra che mette ancora più in pericolo le esportazioni dei Paesi dell'area euro e dollaro. Preoccupazione provata dalle precauzioni di tipo protezionistico contro le merci cinesi adottate in un recente disegno di legge degli Stati Uniti. E'quindi in atto una sorta di "guerra"contro la valuta cinese. La Cina risponde di conseguenza cercando alleati economici nei singoli Paesi europei. In questo quadro vanno inseriti gli accordi economici con il governo italiano che vengono ora rinegoziate al rialzo. Si è passati da un accordo di 10 miliardi di dollari del 2004 ai 40 miliardi di oggi,in previsione di un aumento entro il 2015 di altri 100 miliardi di dollari di interscambio.
Abbiamo assistito all'ennesimo spettacolo deprecabile, non ci aspettavamo di certo altro,dell'intera classe politica italiana. Le parole di elogio di Berlusconi al modello economico cinese svelano,qualora ce ne fosse stato ancora il bisogno,la vigliaccheria,l'ipocrisia e la bassezza di un'intera classe dirigente che conosce le vere ragioni dello sviluppo economico cinese ma volontariamente tace per ragioni di mercato.
Il "saggio" sistema cinese si basa sulla sistematica violazione dei diritti umani sulla maggioranza della popolazione. I Laogai,i campi di lavoro forzato cinese,sono il simbolo di questo sistema. Vengono rinchiusi gli oppositori di qualunque natura del regime. Se ne contano ufficialmente circa 1422,in cui viene prodotta merce di ogni tipo lavorando fino a 16 ore al giorno, in condizioni disumane. Insieme ai laogai esistono decine di migliaia di fabbriche lager, con paghe da fame, ore straordinarie obbligatorie,negligenze punite con il licenziamento o pene corporali,ferie inesistenti e potremmo ancora continuare. Secondo Lu Decheng,dissidente cinese rifugiato in Canada,l'80% della popolazione cinese lavora nelle fabbriche lager a vantaggio di un 20% legato al partito comunista.
Aborti e sterilizzazioni forzate,commercio degli organi dei condannati a morte,restrizioni sindacali,violazione della libertà di stampa, persecuzioni religiose sono solo alcuni esempi della situazione interna cinese.
Alquanto preoccupanti risuonano quindi le parole di elogio di Berlusconi e Napolitano al governo di Pechino, dato che per natura qualcosa che si elogia si tende ad imitare. Per l'ennesima volta nessuna parola sui diritti umani violati,anche sul territorio italiano. Ancora una volta l'ipocrisia e la vigliaccheria di Stato continuano ad uccidere.
Nel frattempo un dissidente cinese,Liu Xiaobo, viene insignito Premio Nobel per la "pace".

Giuseppe Pennestrì

mercoledì 6 ottobre 2010

HIGH OCTANE CAPITALISM AHEAD


Accade che da qualche mese nei giornali e sulle televisioni nazionali si affollano notizie riguardanti prima mignotte (pardon escort!) che “se la fanno” con politici e che conducono ad inchieste, ricatti e richieste di dimissioni varie e ora case svalutate o scandali di parenti e amici con le solite inchieste, ricatti e richieste di dimissioni. Accade però anche che non solo da qualche mese, ma da parecchi anni, qualcuno a queste trappole mediatiche proprio non “abbocchi”. Ma accade anche altro, e cioè che, approfittando del caos politico attuale, qualcuno cerchi di potersi presentare al nostro cospetto come garanzia di ordine e serietà costituendo addirittura un nuovo partito. Al calo di credibilità politica dei soliti pupazzetti di Palazzo, il sistema cerca a modo suo di reagire. Non crediamo, tuttavia, si tratti meramente di una manovra partitica o elettorale, riconducibile cioè alla solita corsa alle poltrone e alla leadership per scopi personali o di fazione. Pensare solo ciò, oltre ad essere ormai dato per scontato, sarebbe banale. Riteniamo invece che la manovra finiana vada inserita nel quadro di un progetto mirante alla costituzione in Italia di quella destra – liberalnazionale - conservatrice che Berlusconi non è stato in grado di creare nel nostro Paese, andando così contro la direzione indicata dai grandi impianti di potere internazionali. Non è un caso che dall’euforia generalizzata della grande finanza mondiale all’indomani dalla presa del potere di Berlusconi, si sia passati oggi ad attacchi mediatici diretti allo stesso mediante grandi testate giornalistiche (vedi espressione mediatica di poteri politici ed economici) come il Times – storico portavoce del conservatorismo che lo dipinge come “clown”– o il Wall Street Journal che già dal 2008 si era detto “deluso dalle politiche economiche” berlusconiane. Certo, i grandi economisti non avevano fatto i conti con il popolo italiano e le sue strane idolatrie. Considerando, dunque, che Berlusconi non può essere fatto cadere dal centro-sinistra non rimaneva che il tentativo di eliminarlo da destra. Non con rotture drastiche, avendone avuta la possibilità con il voto di fiducia, ma con una lenta azione interna. Che l’obiettivo reale di Fini sia costituire una destra adeguata alle intenzioni della finanza internazionale è poi evidente dai suoi stessi proclami economico-politici e diplomatici espressi mescolandoli sapientemente alla retorica anti-berlusconiana, necessaria per coprire il reale intento. Credere alla genuinità del giustizialismo finiano dopo un decennio di alleanza politica e di governo con Berlusconi è veramente da sprovveduti!
Accade che, però, nel frattempo c’è un Paese che muore. Iniziando dalle fredde statistiche notiamo le previsioni funerarie per un capitalismo in crisi. Il tasso di disoccupazione aumenterà nel 2010 di un punto percentuale, nei primi 3 mesi del 2010 si era già passati dall’8,7% del 2009 al 9,1%...in tre mesi! Dai nuovi dati sappiamo che ci sono più licenziati che assunti, con una differenza tra i due valori di 178.390 posti. Ma questo attiene alla statistica. Il Paese muore veramente, e lo dimostra la cronaca che ci porta agli occhi qualcosa come 11 suicidi nel Nord-Est di piccoli imprenditori e artigiani in 16 mesi e, negli ultimi mesi, di precari che disperati per un futuro senza certezze o con la certezza di essere senza futuro si gettano nel vuoto dai palazzi della propria facoltà, o dai finestrini di treni in corsa o si sparano direttamente in petto. Queste sono storie con nomi e cognomi.
Dopo aver distrutto le nostre menti con decenni di falsi miti di benessere e progresso, ci stanno togliendo la voglia e la possibilità anche semplicemente di vivere .
Quando il popolo prenderà coscienza del fatto che non può sperare in una soluzione proveniente dal sistema stesso e cercherà il suo riscatto altrove, ci troverà al suo fianco.

Marco Masulli