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sabato 28 gennaio 2012

IL LUPO E LA LUNA -di Pietrangelo Buttafuoco

Non sono forse molti i messinesi a conoscenza della storia del concittadino Scipione Cicala, figlio di una delle più importanti famiglie cinquecentesche di Messina, conosciuto poi come Cicalazadé Yusuf Sinan Pascià, comandante della flotta ottomana; corsaro, guerriero di gran coraggio e astuzia, giunto nelle terre d'oriente come prigioniero cristiano, diventato figura cardine nella storia del mondo islamico, terrore del mediterraneo.

Chi si fa cantastorie delle sue gesta è Pietrangelo Buttafuoco nel libro "Il lupo e la luna"; proprio loro sono i protagonisti di questo suggestivo racconto: Scipione è il lupo, nobile, feroce e forte, con lo sguardo volto alla ricerca della sua luna, la dama fatta "globo di luce" alla quale dedicherà il più intenso amore.

Quella del Cicalazadé è una straziante lotta tra il sangue che lo richiama nostalgicamente alla patria siciliana e all'amata madre, e il destino di lupo che lo ha trasformato in Rinnegato e nemico dei famigli, prescelto dal Soldano come suo crudele braccio armato contro gli infedeli cristiani.

Tra storia e magia, con un suggestivo linguaggio arcaico, Buttafuoco ci lascia in un mondo sospeso, arricchito da visioni di un mediterraneo dai colori nitidi, odoroso di sale e spezie, guidati dai pensieri tormentati e dalle vive emozioni dello stesso protagonista.

Evocativo e visionario, è un "cuntu" che però tenta anche di ricordare ai siciliani la loro storia e tradizione, che spesso tendiamo ad ignorare, come l'importanza di Messina quale porto fondamentale per i commerci marittimi dell'epoca e simbolo del cosmopolitismo e dell'intreccio di culture del '500.

Giulia Zanella

venerdì 27 gennaio 2012

SEGNALI DA HORMUZ

Le voci di un imminente attacco all'Iran da parte degli USA circolano ormai dal lontano 2003.

Fino ad ora alle parole sono seguite "solo" sanzioni, omicidi mirati di scienziati iraniani da parte di chissà quale servizio segreto (CIA, Mossad o entrambi?) ed altri tentativi più o meno velati di indebolire il fronte interno della Repubblica islamica di Teheran.

Certo è che negli ultimi tempi le relazioni sembrano peggiorare, arrivando alle prove tecniche di una guerra che rischia di sconvolgere tutta l'area medio-orientale e non solo.

Di pari passo nuove sanzioni economiche stavolta dirette contro la Banca Centrale Iraniana, in particolare, e tutte le istituzioni finanziarie riguardanti il commercio di petrolio iraniano. L'Iran si difende da canto suo minacciando di bloccare lo stretto di Hormuz, considerato di fondamentale importanza per il transito di petroliere di tutto il mondo.

Le manovre navali di Teheran nel Golfo Persico concluse con il lancio sperimentale di tre missili non sono passate di certo inosservate agli Stati Uniti che peraltro erano presenti con le proprie navi, e di certo non vogliono essere da meno, preparando con il loro più fedele compagno di massacri, Israele, la più grande esercitazione militare tra i due Paesi.

Il Pentagono infatti in quest'ottica sposterà migliaia di uomini, a tempo indefinito, in Israele e quest'ultima ne approfitterà per testare il proprio sistema di difesa aerea integrato a quello di rilevamento missilistico americano, nonchè svariate batterie missilistiche e nuovissimi sistemi radar.

Ciò che potrebbe rappresentare un freno all'arrogante politica USA-Israele potrebbe essere il ruolo di Russia e Cina che mal sopporterebbero un opzione militare alle porte dei loro confini che rischia di squilibrare i rapporti diplomatici ed economici di tutta la zona. L'ambasciatore russo alla Nato Dmitri Rogozin fa sapere che: "un'azione militare sarebbe una diretta minaccia alla nostra sicurezza". Mentre Pechino dichiara che i rapporti commerciali con Teheran non verranno interrotti.

In questo caso le ultime sanzioni già citate non faranno altro che rafforzare i rapporti Iran-Cina, con quest'ultima in grado di assorbire i barili che per effetto dell'embargo rimarrebbero invenduti.

Può sembrare contraddittorio che ci si prepari ad una guerra in tempi di grave crisi economica -con i tagli peraltro già annunciati da Obama- ma gli Stati Uniti hanno già dimostrato al mondo di preferire bombardare interi Paesi piuttosto che avere un solo ospedale gratuito nel loro territorio.


Certo un'azione militare adesso contro l'Iran sembra più una manovra suicida che una reale strategia risolutiva, considerando anche le conseguenze da terza guerra mondiale che potrebbero scaturire da una simile scelta. Ma la prepotenza americana non ha mai avuto limiti.

Quindi via con la solita retorica di sicurezza e libertà mondiale minacciata dal nemico di turno. E dire che il loro significato di libertà lo conosciamo già: quello di soldati americani che si liberano la vescica sui i loro nemici uccisi. Mentre l'Europa colpevolmente tace.


Da Teheran, Pesh El Enestry

giovedì 26 gennaio 2012

STO PARLANDO CON TE!

FORSE E' GIUNTA L'ORA DI PARLARCI. NEL MOMENTO IN CUI IL TUO FUTURO NON E' PIU' CERTO, CI SIAMO CHIESTI COSA NE PENSI TU, MA SOPRATTUTTO, PERCHE' VAI ANCORA A SCUOLA?

TI TENGONO CHIUSO PER QUALCHE ORA IN GABBIE DORATE CHE CHIAMANO "ISTRUZIONE", CELEBRANDO FUORI I FUNERALI AI TUOI SOGNI.

SAPPI CHE OLTRE C'E' UN MONDO CHE PUOI E DEVI CAMBIARE, INIZIANDO PROPRIO DALLA TUA SCUOLA.

SI TRATTA SOLO DI RIATTIVARE IL CERVELLO, DI LANCIARE IL CUORE OLTRE L'I-POD, DI SPEGNERE L'I-PHONE E DI SCUOTERE LE "MUMMIE" CHE CHIAMI PROFESSORI, CHE HANNO TRADITO LA LORO GIOVINEZZA.

GUARDALI...NON PUOI FARE LA LORO FINE!

IMPARA A SOGNARE E A NON CHINARE IL CAPO, A GRIDARE FORTE "NON SARO' MAI COME VOLETE VOI".

CI SENTIAMO AL PROSSIMO VOLANTINO.

mercoledì 25 gennaio 2012

NON E' LA CRISI, SEI TU

Non è la crisi, coglione! Finiscila di ripetere parole che non conosci. E’ il loro onnipresente opportunismo, la loro avidità spregiudicata e criminale.

Ci si sta riferendo alla lunga lista di licenziamenti in corso in Italia, da nord a sud, da est a ovest. Neanche la melensa mitologia risorgimentale riuscì in tanto: unire gli italiani in una medesima sorte.

I dati servono meglio delle chiacchiere a capire: 300mila lavoratori sono, ad oggi, in fase di trattativa per difendere il posto di lavoro. 40mila di loro hanno già il destino segnato, gli altri sperano ancora. Non sono dati di parte, li rende pubblici il Ministero dello Sviluppo Economico con il suo periodico necrologio.

La Jabel ex-Nokia-Siemens ha buttato in mezzo alla strada 325 lavoratori tramite un fax, e questo almeno segna la consapevolezza del loro fare schifo. I lavoratori si battono ancora occupando gli stabilimenti e aspettano risposte vivendo comunitariamente il calpestio della loro dignità lavorativa.

Lo stabilimento di Cassina de Pecchi (MI) chiuderà, mentre assessori e consiglieri comunali e provinciali si rammaricano oggi per non aver capito la crisi del settore in tempo. Ai lavoratori, com’è giusto che sia, non rimane che organizzarsi dalla base.

Itatel, leader nel settore delle telecomunicazioni, nonostante avesse chiuso il bilancio 2010 con un +3,9% di netto cui in maniera inspiegabilmente proporzionale seguivano continui tagli di personale, oggi si ritrova a concedere una cassa integrazione ai 244 lavoratori in “esubero”, pari a 320 euro (detrazioni escluse) mensili.

A Faenza, la Omsa – produttrice mondiale di calze e collant – di Nerino Grassi licenzia 325 operaie per delocalizzare in Serbia. Anche qui, non è questione di crisi ma di convenienza: lo Stato serbo concede incentivi economici per gli imprenditori.

Si tratta di sgravi fiscali tra i 5.000 e i 10.000 euro per ogni assunzione, di esenzione dall’imposta sugli utili societari per grandi investimenti e grandi assunzioni per 10 anni e, anche e soprattutto, di stipendi medi annui per gli operai che si aggirano tra i 5 e i 6mila euro.

In questo caso si parla già di guerra tra Stati più che di economia, e la Serbia a quanto pare la sta vincendo su entrambi i fronti, sulla pelle dei suoi lavoratori. Non è la crisi, dunque. E, del resto, la crisi l’hanno comunque creata loro con la loro economia virtuale fatta di dati borsistici e azioni invece che di produzione reale.

Ma non è questo il punto. Non vogliamo maggiore produzione. Non vogliamo maggiori investimenti a queste aziende che per rimanere pretenderebbero lo scalpo dei nostri operai. Vogliamo un’altra economia, fatta di volti, di capacità, di cooperazione e di solidarietà.
Ma per fare questo, prima, ci vuole una nuova umanità e, ancora prima, un nuovo “te stesso”.

Marco Masulli