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giovedì 29 novembre 2012

DALLA PRUA DI UNA NAVE PIRATA



Tempo addietro avventurandoci in un'analisi di tipo "geopolitico" ci siamo ritrovati ad essere profeti di una situazione che si è rivelata ben presto veritiera: l'effetto domino che, partendo dall'Islanda e tagliando in senso non più solo verticale l'Europa, ha toccato Portogallo, Irlanda, Spagna, Germania, Grecia, Francia e Italia è stato destabilizzante per l'assetto politico economico e sociale predisposto per la nuova Europa.

La velocità con la quale vengono determinati questi cambiamenti non consente spesso di individuare il punto di partenza di questi stessi mutamenti, che influenzano, lo si voglia o no, la vita di milioni di persone.

Una situazione simile a quella attuale era impensabile appena qualche anno addietro; ora se può apparire normale relegare tutto questo all'eccezionale avanzata della tecnologia e al predomino dell'economia sulla politica, è altresì possibile che non solo queste siano le cause di simile effetto.

Ad occhi attenti i segnali erano iniziati dal gioco al massacro voluto dai grandi trust finanziari nord-americani di matrice apolide che dopo aver astrattamente creato una situazione di sfacelo si sono riproposti come l'unico mezzo per risolvere la stessa crisi: per cui Goldman Sachs sacrifica Merrill Lynch e salva gli USA da un sicuro default, per barattare questo successo con gli alter ego cinesi e russi che facevano la voce grossa sia sui mercati mondiali che all'interno degli stessi Paesi ridotti ormai allo stremo dal “debito pubblico”. Qui sta la prima concausa dell'effetto-tsunami che si riverserà poi sull'Europa e non ultimo sul Medio-Oriente e sugli stati Nord e centro africani.

Come un grande monopoli planetario, pochi giocatori anonimi scandiscono la vita d'interi popoli.

Prima causa dicevamo, e a tutt'oggi questa appare inspiegabile, motivo per cui insistiamo a lottare diffondendo e comunicando il perché miliardi di persone siano diretti da pochi verso il baratro.
Il conto quindi viene chiesto in termini economici all'Europa e in termini di sangue a tutta l'area nord africana e mediorientale.

L'Europa si ritrova prigioniera di sé stessa, senza sovranità alcuna e senza possibilità decisionale, pronta a consegnare tutto nelle mani d'istituti quali la BCE e l'FMI che impongono a tutti gli Stati vassalli una situazione di strangolamento lento ma inesorabile, come nella migliore tradizione usuraia, tramite i propri gabellieri travestiti da tecno-governanti dal sorriso mite ma al contempo agghiacciante.

E così, capovolti i termini di una sana economia politica interna ed estera dal nord Europa alla punta estrema dell'atlantico passando per il mediterraneo, ci si risveglia tutti coperti di debiti, senza sapere, almeno in apparenza, come, da chi e perché siano stati contratti. Intanto governanti fantoccio prima di arrivare alla situazione attuale si prodigano per distruggere tutto ciò che toccano e che gestiscono, dei re Mida al contrario, ogni loro passo si trasforma in fango; tanto a pagare i conti saranno altri che verranno consegnati già confezionati ai loro demoniaci burattinai.

La ricaduta sociale e qualitativa è ovviamente devastante e soprattutto sotto gli occhi di tutti, ma sono occhi di menti narcotizzate che non producono nessun sintomo di risveglio, nessuna forma di vera ribellione; i fuochi accesi in Spagna e Grecia sono troppo piccoli per appiccare un vero e proprio incendio, ma questo potrebbe essere oggetto di un'ulteriore riflessione, che per altro non gioverebbe a nulla o peggio farebbe il gioco contrario, se non supportato da un reale mutamento delle coscienze.

Una reale inversione di rotta appare impossibile, quello che invece è possibile è intervenire nella piccole crepe che questo sistema auto-genera.

Nord Africa e Medio Oriente pagano subito una cambiale più alta, una rata di sangue che sembra inestinguibile, territori immensi che non trovano pace e che loro malgrado non possono mai attuare un discorso di prosperità ed armonia nella propria autodeterminazione. Ultimo esempio, forse il penultimo, la Siria e prima ancora Tunisia, Egitto, Libia senza dimenticare Afghanistan e perché no Turchia, Iran e Iraq, che per un insieme di fatti apparentemente slegati si ritrovano a fare la parte di primi attori in un film dell'orrore, quando a nostro avviso ne farebbero volentieri a meno.

Nessun popolo vuole distruggere la propria identità senza poter ricostruire, eppure i destini di queste terre rientrano nelle agende elettorali o pseudo tali dei potenti della terra; ci chiediamo per esempio perché Obama al primo posto del suo programma, anziché pensare ai milioni di poveri che attraversano il suo West End, metta l'intervento armato in Medio Oriente e cosa spinga Putin  ad armare una fittizia contrapposizione nella speranza di coinvolgere Cina ed India in un conflitto economico di proporzioni enormi, come al solito sulla pelle dei popoli.



Avevamo scritto precedentemente delle posizioni dei non allineati, sperando in una diversa visione delle cose, ma forse era solo una visione di medio calibro. In effetti certi scenari sembrano ricalcare schemi già visti, riproporre copioni già scritti. Qualcuno sostiene che tutto è cambiato, forse nel linguaggio, probabilmente nell'aspetto tecnocratico-mentale, di certo nell'aspetto umano e spirituale, almeno per quanto attiene all'approccio politico.

Ci sembra che essendo questa la situazione, come accennato qualche riga sopra, non bisogna che approfittare di naturali défaillance dell'avversario. Se i signori della terra, pensano di poter incatenare l'Europa ai debiti, abbiamo tutti il diritto di pensare che questo non avverrà tanto facilmente, e il diritto di sognare un futuro diverso per i nostri figli.

Se pensano con guerre sanguinose di sterminare popoli e culture millenarie abbiamo il diritto di pensare che varrà la pena di combattere per una causa diversa dalla loro.

Tutto però deve ripartire dal piccolo, anche dalle cose più semplici, più normali, più quotidiane; differenziarsi già nei propri territori, opporre un modo di essere a un altro segnandone la differenza con comportamenti altri.

Non basta indignarsi, bisogna trasmettere una visione della Vita opposta che è dentro di noi ma che arrivi a tutti fino al risveglio completo. Una capacità di comprensione delle cose che permetta di capire ciò che è giusto e cosa no senza confusione.

Consegnare il futuro alle nuove generazioni non vuol dire creare un modello di sviluppo fatto di denaro e merci, è questo ciò che rende plausibile l'attuale situazione.

Se tutto sembra cambiare, bisogna essere interpreti di questo cambiamento ma riportando la nave sulla rotta giusta, in caso contrario a mari limpidi e cieli sereni si contrapporranno onde tumultuose e agitate, questo non ci preoccupa e non ci ha mai preoccupati. Ma un approdo, quello si che c'interessa.

Dalle piccole alle grandi cose essere presenti e diversi, dal proprio quartiere al cuore dell'Europa, dalle scuole alle case. Alle tensioni internazionali essere differenti senza appiattirsi e senza essere accondiscendenti, non serve più il contenitore, questo si è veramente vecchio, vale di più una diversa analisi delle cose che inviti a una diversa riflessione e conseguentemente a un diverso modo di agire e di essere.

Questa visione del mondo e della vita è l'unica che potrà, se si vorrà, ridare armonia dove non ce n'è, giustizia dove non esiste, verità dove è negata, libertà ove manca, e attorno a questi concetti si fortificherà robusto l'Uomo nuovo che, non più piegato dal peso di una triste esistenza, seppellirà l'homo oeconomicus e a braccia allargate indicherà la via della piccola e della grande Guerra, l’unica che vale la pena di combattere.

Antonio Toscano

martedì 27 novembre 2012

IL "FU" VNIVERSITAS STVDIORVM



In un quadro di sempre maggior mercificazione dell'istruzione, in cui gli studenti vengono designati come 'consumatori' e le istituzioni di istruzione superiore come 'fornitori del prodotto', si va incontro alla creazione di una élite per il mercato, formata da coloro che possono permettersi di accedere agli istituti di alta formazione maggiormente accreditati sul territorio nazionale (e non solo) e di arricchire il proprio curriculum con master, stage e tirocini. Per moltissimi questo è un investimento a lungo termine per crearsi una via di fuga dal declino del paese. 

Il tutto alimenta inesorabilmente l'evidenza delle disparità di partenza dei ragazzi, una spaccatura netta che getta nella più cupa disperazione giovani e famiglie per la mancanza di borse di studio, fondi per la ricerca, finanziamenti alle università pubblica nonché della benché minima prospettiva di lavoro.

Gli studenti delle università italiane sopravvivono in una situazione di crescente disagio e indignazione per le condizioni organizzative e amministrative degli atenei, visto l'inesorabile sottofinanziamento, i quali, nonostante tutto, lottano per il mantenimento della varietà dell'offerta formativa; ormai palesemente screditata, soprattutto per quanto concerne il settore umanistico, a fronte della necessità di creare soldatini per le aziende. 

Il divario è ben più ampio fra Nord e Sud, dove la disparità di finanziamenti stanziati per gli atenei è intollerabile (enormi differenze sono dovute ai contributi offerti da enti locali e banche, notoriamente più ricche nelle regioni settentrionali), con conseguente mancanza di personale docente, strutture e laboratori negli atenei del Meridione. 

Si arranca per il conseguimento di un titolo, avendo spesso a che fare con piani didattici inorganici, assenza di lezioni e di docenti guida, mancanza di esercitazioni adeguate, con la conseguente perdita di valore delle competenze acquisite sulla carta, che sembra portare inesorabilmente verso un esaurimento di giovani preparati. 

I dati sull'esodo degli studenti dal Sud verso i 'virtuosi' atenei del Nord sono demoralizzanti; si parla del 20% dei diplomati che decide di trasferirsi, altrettanti coloro che lo fanno al termine della laurea triennale e, ancora, dopo il conseguimento del titolo per cercare lavoro.

A dispetto di quanto detto dal ministro Fornero, sono ben pochi coloro che rimangono vicino alle famiglie d'origine per volontà propria, piuttosto sarebbe bene che guardasse alle percentuali di mobilità di giovani brillanti sia sul territorio nazionale che verso l'estero. 

Lo sforzo individuale di coloro che restano nella propria regione non è minimamente premiato, perché si sa che è meglio abbandonare la nave quando sta affondando. La scelta è davanti ai nostri occhi: piegarci a questo stato di cose o ribellarci alla mercificazione della cultura e all'incasellamento entro schemi capitalistici che distruggono la nostra identità e il diritto di autodeterminarci nel nostro territorio, forti delle radici storiche e culturali che valorizzano la nostra.

Giulia Zanella

lunedì 26 novembre 2012

ILLUSIONI A PARTE



Con il rischio di risultare inattuale colgo l’occasione offerta dalla piazza di Costruire Contropotere per esprimere una breve riflessione sul nuovo tipo di astensionismo che caratterizza ormai da anni le consultazioni elettorali italiane e, sempre più spesso, anche quelle di altri paesi europei. 

Lungi dal tessere un elogio dell’astensionismo “a prescindere” preferendo, piuttosto, esaltare la scelta “astensionista militante”, è interessante notare come ad un astensionismo crescente si sia accompagnata in maniera proporzionalmente diretta la spoliticizzazione delle masse. 

Fu Tocqueville, già nella prima metà dell’Ottocento, a notare una simmetria tra “tirannide della maggioranza” e spoliticizzazione della società causata dalla distruzione, voluta e cercata dall’elemento autoritario dello Stato, della dimensione sociale, e quindi aristotelicamente politica, dell’individuo a favore di un ritiro in se stessi, nella ricerca dell’utile privato fatta salva la parvenza di democraticità inscenata tramite la farsa elettorale. 

Oggi accanto a ciò sembra potersi scorgere una dilatazione oltre misura della dimensione propriamente egoistica delle individualità causata dal proliferare di armi di distrazione di massa utilizzate per inibire la capacità di sentirsi “influenti” nel contesto politico-sociale ed economico esistente.

L’unica passione che sembra caratterizzare il tipo umano moderno appare, dunque, l’amore per la “tranquillità” intesa come unico obiettivo verosimilmente "a portata di mano". 

In poche parole, si impone la necessità di condurre un’analisi meno trionfalistica delle percentuali del “partito dell’astensione” che, benché favorevoli ad una condotta incentrata sull’estraneità alla politica elettoralistica borghese, non sembra connotarsi quale scelta consapevole da parte del popolo bensì come l’esito naturale dell’esperimento in vitro chiamato “Stato”, volto per sua stessa costituzione a spoliticizzare il popolo al fine di renderlo innocuo, passivo.

Tuttavia, anche per non apparire disfattisti fino al midollo, appare proprio questo il momento più opportuno per una ripresa della propaganda alternativa al sistema liberista arrivato al suo apogeo. 

Intensificare la lotta, ripoliticizzare le masse dirottando le loro coscienze a favore di un ritorno alla dimensione sociale rompendo le gabbie della privatizzazione delle vite, fare tutto ciò al di fuori di strutture rigide, siano esse partitiche o di qualsivoglia parrocchia avanguardista. 

Contro le derive dell’individualismo capitalistico da un lato e dell’ «uomo gregge» massificato e inquadrato dall’altro, ritornare alla persona è la priorità che si impone all’ordine del giorno di gruppi o singoli in lotta.

Marco Masulli