In un quadro di sempre maggior
mercificazione dell'istruzione, in cui gli studenti vengono designati come
'consumatori' e le istituzioni di istruzione superiore come 'fornitori del
prodotto', si va incontro alla creazione di una élite per il mercato, formata
da coloro che possono permettersi di accedere agli istituti di alta formazione
maggiormente accreditati sul territorio nazionale (e non solo) e di arricchire
il proprio curriculum con master, stage e tirocini. Per moltissimi questo è un
investimento a lungo termine per crearsi una via di fuga dal declino del paese.
Il tutto alimenta inesorabilmente l'evidenza delle disparità di partenza
dei ragazzi, una spaccatura netta che getta nella più cupa disperazione giovani
e famiglie per la mancanza di borse di studio, fondi per la ricerca,
finanziamenti alle università pubblica nonché della benché minima prospettiva
di lavoro.
Gli studenti delle università italiane
sopravvivono in una situazione di crescente disagio e indignazione per le
condizioni organizzative e amministrative degli atenei, visto l'inesorabile
sottofinanziamento, i quali, nonostante tutto, lottano per il mantenimento
della varietà dell'offerta formativa; ormai palesemente screditata, soprattutto
per quanto concerne il settore umanistico, a fronte della necessità di creare
soldatini per le aziende.
Il divario è ben più ampio fra Nord e Sud, dove la
disparità di finanziamenti stanziati per gli atenei è intollerabile (enormi
differenze sono dovute ai contributi offerti da enti locali e banche,
notoriamente più ricche nelle regioni settentrionali), con conseguente mancanza
di personale docente, strutture e laboratori negli atenei del Meridione.
Si arranca
per il conseguimento di un titolo, avendo spesso a che fare con piani didattici
inorganici, assenza di lezioni e di docenti guida, mancanza di esercitazioni
adeguate, con la conseguente perdita di valore delle competenze acquisite sulla
carta, che sembra portare inesorabilmente verso un esaurimento
di giovani preparati.
I dati sull'esodo degli studenti dal Sud verso i
'virtuosi' atenei del Nord sono demoralizzanti; si parla del 20% dei diplomati
che decide di trasferirsi, altrettanti coloro che lo fanno al termine della
laurea triennale e, ancora, dopo il conseguimento del titolo per cercare
lavoro.
A dispetto di quanto detto dal
ministro Fornero, sono ben pochi coloro che rimangono vicino alle famiglie
d'origine per volontà propria, piuttosto sarebbe bene che guardasse alle
percentuali di mobilità di giovani brillanti sia sul territorio nazionale che
verso l'estero.
Lo sforzo individuale di coloro che restano nella propria
regione non è minimamente premiato, perché si sa che è meglio abbandonare la
nave quando sta affondando. La scelta è davanti ai nostri occhi: piegarci a
questo stato di cose o ribellarci alla mercificazione della cultura e all'incasellamento
entro schemi capitalistici che distruggono la nostra identità e il diritto di
autodeterminarci nel nostro territorio, forti delle radici storiche e culturali
che valorizzano la nostra.
Giulia Zanella
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