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venerdì 29 aprile 2011

MISSILI INTELLIGENTI: A SCUOLA DI DEMOCRAZIA


Abbiamo già più volte manifestato la nostra posizione nei confronti della guerra ma torniamo sull'argomento perchè riteniamo doveroso trattarlo in quanto chi ci legge, speriamo soprattutto molti giovani, possa riflettere e assumere una chiara presa di coscienza, libera da tutto quello che offre il panorama mediatico odierno.

Riteniamo che bisogna fermare quanto avviene in queste ore in Nord-Africa, perchè comunque vada a farne le spese saranno le popolazioni e le genti di quei Paesi, già abbastanza martoriati e sopratutto distanti dalle logiche che animano questi conflitti. Ogni Popolo ha diritto alla propria autodeterminazione, a scegliere la propria forma di governo, il proprio indirizzo nei confronti della Storia e questo non deve, come ormai avviene da tempo e sotto tutte le longitudini, essere stabilito da parametri economici o da metodologie commerciali e mondialiste.

La ricchezza di un Paese non deve diventare per questo, anzicchè motivo di sviluppo e di crescita, motivo di sangue e morte; se ciò avviene è poichè non è il popolo sovrano a decidere delle proprie sorti, ma nel migliore dei casi oligarchie apolidi che consegnano il territorio in mani avverse. Mentre Misurata e Bengasi bruciano sotto i bombardamenti "democratici e intelligenti" dei lacchè NORD-AMERICANI e FRANCESI e mentre interi territori vengono devastati dalle truppe lealiste libiche,i banchieri e i commercianti di mezzo mondo continuano a fare affari con GHEDDAFI e soci, in attesa di cambiare solo le marionette di questo ammuffito ma venefico teatrino (ribadiamo il tutto sulla PELLE DEI POPOLI).

Quando qualcuno tenta di cambiare le carte del gioco in maniera veramente differente, entra in ballo il consolidato coupe de theatre: LA GUERRA, sia essa santa o meno, purchè benedetta dall'ONU e dai suoi ....consiglieri d'amministrazione.

In una prima fase, se pure non del tutto normale, va ridata la parola alla politica e gli interlocutori dovranno essere i veri rappesentanti della volontà popolare, non i soliti prezzolati o i governi fantoccio e di comodo. La Libia ai Libici, la Tunisia ai Tunisini e via dicendo, se quanto avviene in questo momento deve rappresentare una svolta epocale in termini geo-politici, come da più parti paventato, che lo sia veramente, nel senso più nuovo del cambiamento e non nella maniera alla quale da tempo siamo purtroppo abituati e sulla quale spesso siamo appiattiti e fermi; non vale la pena discutere di cose già viste e sviscerate, quindi NO ALLA GUERRA, si all'autodeterminazione dei Popoli.


A proposito vi siete chiesti come mai in Italia maggioranza e opposizione sono entrambe d'accordo sull'intervento militare in Libia, bombardamenti inclusi?
Questa è la potenza della democrazia..........pacifisti e non l'un l'altro armati, alle volte democrazia fa rima con ipocrisia e borghesia.



A presto!Antonio

martedì 26 aprile 2011

LOUIS- FERDINAND CÉLINE: OLTRE LA CENSURA


“Perchè nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli ”

Louis-Ferdinand Auguste Destouches o, se preferite, Cèline ha fatto fare più di un solo giro al pensiero dei suoi lettori, questo è sicuro. E' riuscito a farlo tenendo fede all'esigenza di “crudeltà” linguistica che, senza interporre troppe riflessioni sulla forma, vomita la sostanza direttamente in faccia al lettore.

Leggere Cèline è intraprendere un “ viaggio al termine della notte ” nel mondo degli Ultimi, degli Esclusi dalla “società per bene”, dei disgustati dal contemporaneo capovolgimento della Giustizia e delle Verità. Medico e scrittore, “politico” e sognatore, introspettivo e brutalmente diretto Cèline è un classico esempio di Uomo Libero che, donando la vita ai “ malati poveri” e agli assetati di libertà, non è stato domato dall'esigenza di conformismo che attanaglia il mondo occidentale borghese. Cosi, e cosi soltanto, si spiega la persecuzione fisica e intellettuale di cui fu vittima divertita e consapevole Cèline.

Aguzzino fu un mondo politico e “culturale” che non ne ammetteva, e continua a non ammetterne, oltre all'esistenza fisica soprattutto il lascito libertario. In quest'ottica liberticida va inteso il veto posto sulla celebrazione del cinquantenario dalla morte (1961- 2011) a causa del suo, del tutto sui generis, “antisemitismo” condannando cosi alla “damnatio memoriae” uno scrittore riconosciuto a livello mondiale come il “migliore autore francese del 900” e difeso addirittura da grandi scrittori ebrei come Philip Roth che, proprio nell'ambito delle recenti polemiche sull' esclusione improvvisa dell'autore dalle celebrazioni letterarie del 2011 imposta da un'associazione ebraica francese, ha di recente descritto Cèline come “un grande liberatore” dichiarando di “sentirsi chiamato dalla sua parola” ( New York Review of Books, 23 gennaio 2010).

Nonostante l'evidente ingiustizia di fondo, tuttavia, non lasceremo che la volontà di “oscurare” un genio attraverso campagne denigratorie soffochi i reali contenuti dei suoi scritti e per questo, rendendo forse omaggio nel modo più appropriato ad una figura come la sua così poco incline alle celebrazioni rituali e “imbalsamatrici”, riscopriremo attraverso la lettura e l'interpretazione di alcuni suoi scritti l' identità umana, letteraria e ideale del grande autore francese.

Marco Masulli.

sabato 23 aprile 2011

L'INSOSTENIBILE PESO


Cinquanta metri è tutto finisce. Cinquanta metri e la disperazione non può più agguantarti.
In pochi secondi una vita non è più tale e forse non lo era più da tempo. Morire fisicamente dopo essere stato ucciso dentro, ogni giorno, può apparire l'unica via d'uscita. Uccidersi a 40 anni perchè non si riesce a trovare un lavoro è una notizia già sentita, forse non degna della ribalta nazionale, specialmente in Sicilia, terra che di sangue ne ha visto troppo. Per chi è ancora Umano, abituarsi è impossibile oltre che criminale.
Un corpo senza vita è ciò che resta di un uomo, di un padre e di un marito, giudicato sicuramente colpevole di debolezza da chi del coraggio ne fa un dovere e non un sentire. Reale responsabile è una società profondamente malata che ha fatto del lavoro strumento di schiavitù fisica ma soprattutto mentale e spirituale, chi di un diritto fondamentale ne ha fatto un compromesso figlio del clientelismo, di accordi sotto banco, di professionisti della precarietà, di signori dell'usura legale e non, dell'ultima concertazione sindacale su ciò che invece è indiscutibile.
Un salto nel vuoto perchè la disoccupazione fa più paura della morte stessa. Un salto dal bordo di un'autostrada simbolo grigio dell'usura del progresso e si rinnova la marcia trionfale dei padroni del mondo sui corpi straziati dei Popoli. Stavolta sulla nostra Terra. Ancora. Guardate sulle spalle di quell'uomo e vedrete ancora le mani impresse di chi lo ha spinto. Guardate negli occhi dei figli e ci ritroverete, nonostante tutto, la Speranza. Atto d'accusa? No. Non abbiamo l'abitudine del dito puntato. Amiamo solo la Verità.
Suicidio scrivono. Omicidio noi diciamo.

Giuseppe Pennestrì

giovedì 21 aprile 2011

IL RE E' NUDO? DI PIU' !


Artcolo 1 della Costituzione Italiana:L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La Sovranita'appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

L'Italia non è una Repubblica democratica perchè non rappresenta realmente la volontà del Popolo e le sue legittime aspirazioni. Attraverso un meccanismo perverso che si è consolidato negli anni, il sistema elettorale parlamentare ha disatteso le reali aspettative dei cittadini. Chi si aspettava la creazione di uno Stato che attraverso i suoi strumenti operasse nel bene della comunità, si è sbagliato di grosso, chi ha gestito e gestisce il potere attraverso gli stessi strumenti e con la dovuta interpretazione e attuazione degli stessi invece raggiunge e sta consolidando il proprio obiettivo.

Il lavoro come mezzo per la costruzione sana di unà comunita' di persone nel reciproco rispetto e nel giusto scambio di dare e avere è più che un utopia è una bugia, una bugia garantita dalle leggi. Il lavoro è diventato potentissimo strumento di ricatto e di servilismo e anzichè dare agli uomini dignità, piano piano gliel'ha tolta, mercificando la vita di intere generazioni e ingrassando gli interessi di non pochi individui(Democrazia o Oligarchia, fate voi).

La Sovranità di un Popolo è quando lo stesso decide del proprio destino e cammina diritto verso questo. Ora, se a decidere sulle scelte invece sono altri, qualcosa non va bene.I più grossi gruppi economici del pianeta hanno in mano le sorti della nostra finanza, condizionando e gestendo impresa-sviluppo e commercio, attraverso italiani stessi che come zombie volontari ma ben ripagati assolvono al loro ruolo di sanguisughe.....del loro stesso Popolo. I nostri Ministeri(Difesa, Interni,Esteri)sono si "tenuti" da ministri italiani ma prendono ordini da altre capitali mondiali...come brave "tenutarie". Cultura, Ricerca, Università sono concetti sconosciuti alle nostre future generazioni, il taglio mortale alle nostre radici e per la nostra crescita è stato da tempo sancito oltre Atlantico. Siamo sovrani di niente, il re non è solo nudo... è scarnificato.

In queste condizioni il popolo non esercita un bel niente! Ad esercitare, e con grande professionalità, sono i politici di qualunque schieramento e posizionamento, loro si che conoscono entro quali limiti "costituzionali" possono muoversi.


Ma oggi è anche un bel giorno, è una bella ricorrenza, è un buon auspicio. Oggi Donne, Uomini e giovani di questa Terra festeggino il Natale di Roma..........Con gioia ed armonia si offra senza prendere, ricordando. XXI aprile MMDCCLXIV.

A presto!

mercoledì 20 aprile 2011

FARANNO IL DESERTO E LO CHIAMERANNO PACE


Marzo 2011. Ennesimo atto di forza del mondo occidentale. Questa volta nel mirino è finita la Libia e anche in questo caso la storia si ripete come da copione: iniziano a diffondersi, tramite i soliti media prezzolati dell’Occidente, un senso generale di sdegno e una forte preoccupazione, dettati in questo caso dal pericolo di un dittatore sanguinario che fa strage del suo popolo; dibattiti vari, dove tutti sono d’accordo a metterlo alla gogna; il tempestivo intervento dell’istituzione internazionale in teoria più imparziale e rappresentativa, l’Onu; e l’attacco di singoli Stati contro uno Stato sovrano, per spodestare il malcapitato al potere.

La differenza stavolta (e non è poco, visto che non avveniva ormai da decenni) sta nel fatto che capo bandiera di quest’operazione non sono i soliti esportatori di libertà e democrazia (alias gli USA), ma una Francia che per un attimo sembrava essere ritornata ai tempi belli di De Gaulle, i tempi dell’indipendenza da influenze esterne e della pienezza di sé (patriottismo imbecille, non certo autodeterminazione nel senso positivo), almeno fino a quando tutto non è tornato in carreggiata, passando sotto il controllo della Nato.

L’apparente difesa dei diritti umani anche stavolta dissimula interessi di altro tipo, che poi sono i soliti, come mettere le mani sulle risorse di gas e petrolio, in uno Stato non allineato alla politica e non chino alla logica imperialista di chi voleva fare da padrone in casa d’altri. Senza dimenticare che la Libia è in una posizione geografica strategica, per cui un controllo del territorio, tramite il governo-fantoccio che dopo Gheddafi s’intende instaurare (immaginiamo già che ciò avverrà a seguito di elezioni che chiameranno democratiche, come già stanno facendo in Egitto) assicurerà in un colpo solo una presenza stabile sul mediterraneo e un’inquietante vicinanza al medioriente.

È doveroso notare peraltro che ancora una volta l’Occidente (con Israele dietro le quinte) si rivela legato alle tradizioni, visto che, oltre che mietere vittime senza fine con i bombardamenti, mantiene la ‘sana’ abitudine di usare anche armi proibite, in quanto armi di distruzione di massa; parliamo in particolare dell’uranio impoverito che, lungi dall’essere utile anche solo lontanamente a bloccare la repressione sul popolo libico (repressione che pure era ed è realtà, sebbene in modo non differente rispetto a quanto sta avvenendo proprio ora anche in altri Stati, come Bahrain, Siria o Yemen, di cui nessuno o quasi si occupa) ha ed avrà delle forti ripercussioni sugli stessi civili che a loro detta starebbero difendendo; dal Vietnam, all’Iraq, a Gaza, la storia si ripete ancora… corsi e ricorsi storici?

Vincenza bagnato.

martedì 19 aprile 2011

CULTURA:RADICE DI UN POPOLO


In Italia esiste una precisa parola che riesce a riassumere e a spiegare perfettamente la storia recente politica ed economica di questo paese: Tagli. Essa per un’intera colpevole classe dirigente sembra essere l’unico rimedio a qualunque questione di tipo politico, economico e sociale.

La mannaia dei tagli adesso tocca a quello che, per una questione semplicistica, possiamo definire settore culturale, che più di ogni altro caratterizza l’identità, in questo caso italiana, di qualunque popolo in tutto il mondo. Negli ultimi mesi il Governo aveva previsto un taglio del 40% delle risorse destinate alla cultura che avrebbe messo in ginocchio una realtà che non gode certo di ottima salute.

Grazie anche all’immediata reazione degli addetti ai lavori, lo stesso è dovuto
correre ai “ripari” con un Decreto Legge del 23 Marzo in cui si prevede l’assegnazione permanente di 236 milioni di euro al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di cui 149 milioni di euro destinati al Fondo Unico per lo
Spettacolo, 80 milioni di euro alla tutela e al recupero del patrimonio storico, architettonico, artistico e archeologico e 7 milioni di euro agli istituti culturali.

Ma da dove provengono questi fondi? Considerato che la proposta di aumentare il biglietto del cinema intaccava lo stesso settore e risultava fin troppo palese agli occhi dei cittadini, si è pensato bene di aggirare l’ostacolo in modo più subdolo, approvando l’aumento delle accise sulla benzina.

Si tratta, quindi, di una nuova tassa non facilmente percepibile dal “distratto” contribuente italiano che pagherà di tasca propria l'incapacità di un'intera classe politica completamente e volutamente disattenta a qualunque
questione riguardi il mondo culturale in ogni sua forma. Non si riesce a capire perché il tutto debba poi ricadere ancora sul cittadino costretto a pagare,
quindi, una tassa su un bene di così largo consumo.

Quello che possiamo ben definire un vero e proprio attacco alla cultura da parte delle istituzioni non è altro che una precisa e oculata scelta e si lega
inevitabilmente a concezioni e dottrine che superano i confini italiani, trovando nel mondialismo e nella globalizzazione la loro sintesi.

Per rendere un Popolo schiavo è necessario distruggerne la cultura e la memoria. Questo per chi vuol vedere è il chiaro messaggio. L'attuale crisi del
settore quindi, sembra nascere non solo da una questione pratica di cui la maggiore responsabilità è delle istituzioni, ma anche da un malessere molto più profondo, dovuto forse ad una concezione distorta di tutto ciò che è cultura. Troppo spesso essa viene vista esclusivamente come un’enorme organizzazione di eventi fine a sé stessi che nulla hanno a che vedere con la caratteristica principale di ogni progetto culturale, ovvero la capacità di essere avanguardia.

Ribaltare la moderna visione di cultura deve essere, quindi, il fine non solo di chi di questa ne ha fatto il proprio mestiere, ma anche di chi in essa vede un prezioso strumento di interventismo nella società odierna affinché essa possa tornare ad essere la base fondamentale di qualunque progetto sia esso politico, economico o sociale.

Giuseppe Pennestrì
Giulia zanella

lunedì 18 aprile 2011

E MENTRE TUTTO TACE


Mentre l'attenzione mediatica internazionale si riversa tutta sulle pretese "rivolte popolari" che interessano una parte consistente del mondo arabo e sull'illegittimo intervento militare della NATO in Libia, colpisce (ma non troppo per chi fa attenzione a certe cose) il silenzio proveniente da Israele e dalla Palestina.

Nell'omertà dei mezzi d'informazione di tutto il mondo che si autoproclama "libero", il governo israeliano ha dato il via ad una serie di operazioni atte a consolidare il suo dominio, o comunque la propria incontrastabile forza, su tutta la Palestina.

Il primo marzo quattro bulldozer, scortati da altrettanti carri armati, varcavano il passo di Kissufim, al confine con la Striscia di Gaza e mentre appianavano i campi agricoli, i carri sparavano allegramente. Allo stesso tempo, i caccia-bombardieri israeliani volavano su tutta la zona ed il giorno dopo simulavano un bombardamento.

Chiarissima è (se ce ne fosse bisogno) l'intenzione israeliana di terrorizzare ancora più insistentemente la popolazione araba. Il 13 dello stesso mese il capo del governo Netanyahu annunciava nel disinteresse quasi totale dei media, la costruzione di 500 case per altrettanti nuclei familiari formati da coloni ebrei nei territori occupati della Cisgiordania, presentando questa immonda azione coma la legittima risposta dello stato sionista alla strage di una famiglia ebrea avvenuta il giorno precedente ed il cui responsabile non è stato ancora individuato.

Ma se non si conosce nulla della mano omicida come si fa ad essere certi che si tratti di uno o più palestinesi? E per quale assurdo motivo prendersela con le famiglie della Cisgiordania, derubate ancora una volta della loro terra? E poi perchè un così grave fatto di sangue deve essere "risarcito" attraverso l'ignobile appropriazione di parte di un territorio appartenente ad altri? E come dovrebbero reagire i palestinesi di fronte alle quotidiane stragi familiari di cui sono vittime e per le quali i responsabili sono universalmente noti?

Qualche esempio recente: tra il 22 ed il 23 marzo Israele ha bombardato Gaza uccidendo nove persone, di cui cinque (due bambini e tre adulti) formavano un' intera famiglia, e ferendone diciotto, tra cui otto bambini e sette donne; inoltre è stato colpito e danneggiato gravemente un ospedale civile, la clinica Hijaz, già distrutta durante l' operazione "Piombo Fuso" e successivamente ricostruita.

Come se non bastasse il 27 marzo due presunti appartenti alle brigate Al Aqsa sono stati uccisi dall’aviazione israeliana, accusati dal governo di Tel-Aviv di progettare un misterioso attentato all' interno dei confini israeliani. E mentre Israele uccide con la scusa della "difesa preventiva", l'ONU, che tanto si prodiga affinchè venga tutelata la popolazione libica (e soprattutto i suoi pozzi di petrolio) attraverso "democratici" bombardamenti alleati, nulla dice e niente fa contro la politica genocida e colonialista dello stato israeliano.

Sarà forse che dove si dice di tutelare la pace si prepari invece la guerra? E come interpretare il mutismo dei grandi mezzi d' informazione se non come criminale complicità? Come giudicare questi "paladini della libertà d' informazione" se non come prezzolati di un sistema mondialista corrotto e corruttore?

Gheddafi, che fino a circa un mese fa era l' amico, il punto di riferimento laico che l' Occidente liberale e liberista aveva in quella parte del mondo musulmano, oggi diventa il sanguinario dittatore da abbattere (dittatore che in realtà è sempre stato), Israele non viene scalfita né da risoluzioni ONU o da proteste internazionali, né tantomeno da intromissioni di qualunque tipo da parte dei paesi capitalisti nella politica di stampo terroristico che attua contro la popolazione civile palestinese.

È da qui che invitiamo i lettori a riflettere (ancora una volta) ed è da ciò che speriamo parta una scintilla che possa mettere fine alla vera strage, quella che giorno dopo giorno commettono contro le vostre menti, private di vera e libera capacità critica.

Jean Trouvè.

sabato 16 aprile 2011

AFFARI SOTTO IL CIELO AFGHANO


Servire - anche senza un briciolo di dignità- oggi dà inevitabilmente i suoi frutti. Deve essere sicuramente questo il primo pensiero del Ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani volando verso le ricche terre di Kabul (Afghanistan).
E' stato firmato infatti tra il Ministro italiano e il Ministro degli Esteri afghano, Zalmay Rassoul, il Ministro delle Miniere, Wahidullah Sharhani e il Ministro dell'Economia Abdul Hadi Arghandiwal, il primo accordo economico tra Italia e Afghanistan.

Il Protocollo d'Intesa riguarda numerosi settori industriali che spaziano dal petrolio al gas passando per energia ed agricoltura, strade e aereoporti, miniere e marmo. A far parte di questa missione commerciale vi erano inoltre i rappresentanti di Eni, Enel, Enea, AI Engineering (costruzioni), Iatt (pipeline sotteranee), Gruppo Trevi (perforazioni petrolifere), Gruppo Maffei (estrazioni minerarie), Assomarmo, Fantini (segatrici per marmo) Magraf e Gasparri Menotti (estrazioni del marmo). Tutti uniti dunque a raccogliere i frutti di anni di guerra sulle spalle del popolo Afghano.

Inoltre è stato chiesto all'Italia di partecipare alla costruzione del Tapi, la famosissima conduttura transafgana che trasporterà il gas naturale dai giacimenti turkmeni di Daulatabad attraverso l'Afghanistan (Herat, Farah, Helmand e Kandahar) fino in Pakistan e India, nonchè vecchio cruccio degli Stati Uniti sin dagli anni novanta.

Ancora una volta l'impegno italiano in Afghanistan mostra il suo vero volto, quelle delle ragioni di mercato, ma questa non è di certo una novità. L'adesione o per meglio dire la sottomissione ad un determinato sistema internazionale ha le sue regole e le sue contropartite, e tutte devono passare rigorosamente dallo sfruttamento - nel senso più negativo del termine - di Popoli e Terre. Concezioni queste che i "nostri" governanti e i loro padroni fanno passare come l'unico pensiero possibile, additando chi invece rifiuta queste immonde dottrine come un criminale, un nemico da combattere.

Non ci stancheremo mai di dire - che piaccia o no - che la via d'uscita non passa di certo dalle istituzioni italiane e tantomeno da quelle internazionali, nè dalla chiamata alle urne, ma dalla capacità di ognuno di dire di no, dal non sentirsi rappresentati da tali istituzioni, dalla volontà di scegliere ciò che è più giusto e non ciò che conviene. Una volta fatto ciò, delegittimare un potere palesemente sbagliato rappresenta la normale via d'uscita.

Giuseppe Pennestrì

venerdì 15 aprile 2011

Per quanto ancora?


Frasi di getto, forse dettate dalla rabbia o da un mal celato disgusto verso un mondo che quasi totalmente indifferente osserva con sdegnata indifferenza la morte di un uomo. Probabilmente diranno tante cose, parleranno fino a sfiancare i loro luridi polmoni di un uomo e la sua vita, di Gaza e la sua agonia, forse lo accuseranno di esser vicino a gente poco "raccomandabile", sminuzzeranno e giudicheranno la sua vita in cerca di qualcosa di sporco solo per giustificare il loro schifoso silenzio. "Se l'è cercata","è stata una sua scelta" diranno i professionisti dal dito a molla sulle loro comode poltrone. Facce troppo false di giornalisti irregimentati metteranno in scena spettacoli da baraccone per proteggere i loro padroni. Ignorando che la gente a Gaza muore ogni giorno. Ma stavolta è un italiano, "uno di noi", a morire.
Servirà questa morte alla maggior parte degli italiani per scaricarsi la coscienza davanti alla storia, per poter così dire "noi siamo migliori di chi l'ha ucciso", illudendosi di esser diversi. No! Cari italiani prendetevi le vostre responsabilità, almeno per una volta, davanti alla sofferenza dei Popoli e di chi ogni giorno sacrifica la propria vita e il proprio tempo anche per dare un solo appiglio ad una libertà che di certo non possedete. Basterebbe solo rompere questo colpevole silenzio o almeno provarci. Illusione di una giovane mente. Tutto tornerà come prima. In una abberante normalità vi lascerete irretire dalle loro belle frasi, dai loro colletti inamidati, dalle loro mezze verità e dalle totali menzogne, vi daranno forse in pasto un colpevole solo per salvare se stessi, e a voi tutto questo ancora una volta basterà.
Per fortuna in questo mare di desolazione esistono Uomini e Donne che in ogni parte del mondo "lavorano" per un qualcosa di diverso, che hanno scelto strade diverse, di cavalcare l'onda invece di farsi sommergere. Ed è con queste onde d'Umanita, che travolgeranno un giorno, voi e i vostri padroni.

Giuseppe Pennestrì

sabato 9 aprile 2011

AVANTI UN ALTRO.


La trappola è servita. Nella riunione Ecofin tenutasi a Godollo in Ungheria, l'Eurogruppo (banda di criminali che si fanno fanno chiamare ministri) ha accolto la richiesta di "aiuti" del Portogallo. Dopo l'abbassamento del rating complessivo del Paese e quello delle principali banche dello stesso, era soltanto una questione di tempo.

Immediatamente dopo aver accolto la richiesta, l'Eurogruppo ha invitato il governo di Lisbona a intavolare i negoziati con le altre tre associazioni a delinquere quali la Commissione Ue, la Bce e Fmi per mettere a punto la condanna, pardon, il piano. Esso prevede secondo le prime stime un prestito di 80 miliardi di euro che dovrebbe essere pronto verso metà maggio. Il punto principale in questione saranno adesso le condizioni a cui è subordinato il prestito che non saranno tanto lontane da quelle della Grecia. Ciò vuol dire che peserà tutto sulle spalle della parte più debole ed esposta del popolo portoghese. Secondo il comunicato dei ministri dell'Eurogruppo e dell'Eurofin il piano "dovrebbe includere anche un ambizioso programma di privatizzazioni" oltre all'ormai famosa austerity richiesta da tutti gli altri Paesi Europei. Per l'Italia i vampiri presenti erano Giulio Tremonti (ministro dell'economia) e Mario Draghi (governatore Banca d'Italia).

Dopo la Grecia, l'Islanda, l'Irlanda adesso tocca al Portogallo diventare totale schiavo dell'usura internazionale. Si è usata la scusa di una crisi assolutamente voluta per piegare alla ragione dell'interesse interi popoli europei con la complicità dei governi nazionali, dirette emanazioni di poteri transnazionali. Questo è il modello della loro Europa fatto di banche e popoli da asservire, di rating da tagliare, di guinzagli da stringere. Il rifiuto totale di queste concezioni insieme a quello delle istituzioni di ogni livello che le incarnano e mantengono è l'unica via percorribile per chi non vuole vivere da schiavo. Il destino dell'Europa non è nelle mani di una banca.

Giuseppe Pennestrì