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sabato 16 aprile 2011

AFFARI SOTTO IL CIELO AFGHANO


Servire - anche senza un briciolo di dignità- oggi dà inevitabilmente i suoi frutti. Deve essere sicuramente questo il primo pensiero del Ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani volando verso le ricche terre di Kabul (Afghanistan).
E' stato firmato infatti tra il Ministro italiano e il Ministro degli Esteri afghano, Zalmay Rassoul, il Ministro delle Miniere, Wahidullah Sharhani e il Ministro dell'Economia Abdul Hadi Arghandiwal, il primo accordo economico tra Italia e Afghanistan.

Il Protocollo d'Intesa riguarda numerosi settori industriali che spaziano dal petrolio al gas passando per energia ed agricoltura, strade e aereoporti, miniere e marmo. A far parte di questa missione commerciale vi erano inoltre i rappresentanti di Eni, Enel, Enea, AI Engineering (costruzioni), Iatt (pipeline sotteranee), Gruppo Trevi (perforazioni petrolifere), Gruppo Maffei (estrazioni minerarie), Assomarmo, Fantini (segatrici per marmo) Magraf e Gasparri Menotti (estrazioni del marmo). Tutti uniti dunque a raccogliere i frutti di anni di guerra sulle spalle del popolo Afghano.

Inoltre è stato chiesto all'Italia di partecipare alla costruzione del Tapi, la famosissima conduttura transafgana che trasporterà il gas naturale dai giacimenti turkmeni di Daulatabad attraverso l'Afghanistan (Herat, Farah, Helmand e Kandahar) fino in Pakistan e India, nonchè vecchio cruccio degli Stati Uniti sin dagli anni novanta.

Ancora una volta l'impegno italiano in Afghanistan mostra il suo vero volto, quelle delle ragioni di mercato, ma questa non è di certo una novità. L'adesione o per meglio dire la sottomissione ad un determinato sistema internazionale ha le sue regole e le sue contropartite, e tutte devono passare rigorosamente dallo sfruttamento - nel senso più negativo del termine - di Popoli e Terre. Concezioni queste che i "nostri" governanti e i loro padroni fanno passare come l'unico pensiero possibile, additando chi invece rifiuta queste immonde dottrine come un criminale, un nemico da combattere.

Non ci stancheremo mai di dire - che piaccia o no - che la via d'uscita non passa di certo dalle istituzioni italiane e tantomeno da quelle internazionali, nè dalla chiamata alle urne, ma dalla capacità di ognuno di dire di no, dal non sentirsi rappresentati da tali istituzioni, dalla volontà di scegliere ciò che è più giusto e non ciò che conviene. Una volta fatto ciò, delegittimare un potere palesemente sbagliato rappresenta la normale via d'uscita.

Giuseppe Pennestrì

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