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martedì 27 marzo 2012

VENTI DI GUERRA SU DAMASCO

Partiamo dal presupposto che la Siria non è ad oggi ciò che noi chiameremmo un Paese libero (anche se il 26 febbraio, nel silenzio, è stato approvato un referendum costituzionale (dall'89,4%), che mette fine al sistema monopartitico, fissando il limite dei mandati presidenziali a due e stabilendo che il parlamento siriano, sarà per metà composto da operai e contadini); dobbiamo allo stesso tempo rammentare che nemmeno uno degli Stati che dall'esterno cercano di dare lezioni di democrazia, ha mai applicato realmente il principio democratico.
 
Il punto non è la mancanza di libertà o diritti in questo o in quell'altro "Stato canaglia", (altrimenti ce ne sarebbero, secondo questa logica, guerre da combattere anche contro avversari di gran lunga più forti e potenti della piccola Siria, a cominciare dalla Cina); di fatto quello che si sta verificando oggi in Siria è il tentativo di consolidare il potere anglo-americano in un Mediterraneo da inglobare totalmente dentro "l'impero", creando ad arte tensioni e crisi di vario genere atte a cambi di regime per la formazione di governi filo-yakee che permettano lo sfruttamento di quelle terre sia dal punto di vista economico che politico.

Anche in Siria gli USA usano il solito metodo dimostratosi efficace in molte altre occasioni nel corso dei decenni (ultimo caso la Libia): contingenti di irregolari senza reale peso politico tra la popolazione, fedeli alla linea statunitense che si dichiarano portavoce del popolo e che vengono presentati come tali dai prezzolati mediaoccidentali.

Nel caso siriano (come il quello libico) questi sono gruppi di fondamentalisti islamici armati dalla CIA (Waghshington Post, 18 aprile 2011) che stanno attaccando con metodi terroristici il governo del quale gli USA e i suoi obbedienti alleati si vogliono sbarazzare. La risposta governativa è stata ed è, naturalmente e legittimamente, di natura militare.
Ovviamente i mezzi di(dis)informazione, come al solito, non potevano di certo esimersi dal raccontarci la solita solfa delle presunte stragi di massa da parte delle forze armate regolari sui civili, legittimando quindi l'ipotesi che gli "esportatori di democrazia" intervengano militarmente per "liberare" i siriani che in massa, a loro dire, richiedono il loro "aiuto".

Niente di più falso, oggi in Siria come ieri altrove. Basti dire che il New York Times, il 13 gennaio di quest'anno, ha dovuto ammettere che "l’affluenza in piazza Sabaa Bahrat a Damasco ha sottolineato ancora una volta il grado di sostegno che Assad e la sua dirigenza godono fra molti siriani dopo quasi sette mesi di sollevazione popolare.

Questo appoggio è particolarmente forte in città come Damasco e Aleppo, le due maggiori del paese". D'altronde si continuano a spacciare per manifestazioni antigovernative immagini e video che in realtà mostrano manifestazioni pro-governative; i vessilli del partito al potere, le bandiere di Stato e soprattutto i ritratti di Bashar Assad che si notano in queste "manifestazioni di protesta" non sarebbero certo graditi a chi sta con i "ribelli".

Ed anche Henry Kissinger ammette che "la grande maggioranza dei siriani sta con Assad e il paese ha l’appoggio dell’Iran, Russia e Cina", per poi aggiungere: "Dobbiamo continuare a mantenere alte le fiamme che abbiamo acceso e farla bruciare internamente. Noi non possiamo rinunciare ai nostri interessi e dobbiamo continuare e destabilizzare la Siria per ottenere ciò che vogliamo".

E dal maggio 2011 stanno tentando di farlo ma come quella straordinaria potenza che fu l'Impero Mongolo sono stati costretti a fermarsi proprio davanti le mura di Damasco. Il nostro augurio è che quelle mura rimangano inviolate e che solo e soltanto il popolo siriano sia artefice del proprio destino.

Jean Trouvè

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