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domenica 27 febbraio 2011

L'ITALIA DOVREBBE ESSERE UN PAESE FONDATO SUL LAVORO


Sottoponendo ad un attento vaglio il mondo del lavoro, emergono in maniera evidente le mille crepe di un sistema che ha reso l'uomo sempre più schiavo di quello che doveva essere uno strumento atto a nobilitarlo, un mezzo per migliorarne l'esistenza, un contorno, non il fine. Invece, ci si ritrova in una società in cui sembra non esserci altro. Sempre più persone passano freneticamente da un'occupazione all'altra, affannati e insoddisfatti, col peso di mutui e prestiti sulle spalle, che a piccole gocce di sangue e sudore dovranno ripagare restando comunque più poveri di prima, senza alcuna stabilità, assumendo talvolta l'aspetto di uomini-macchine.

Partendo dallo studente-lavoratore, passando al neolaureato per finire al soggetto dotato di specifica qualifica tecnica, la situazione cambia poco. Offerte che sono apparentemente interessanti, ma che celano sempre il medesimo inganno: in primis la precarietà del posto, l'assenza totale di un contratto, paga minima e orari disumani. Tutto ciò in violazione delle fondamentali norme poste a tutela dei lavoratori, tenute in minima considerazione, se non ignorate sia dai datori di lavoro che, ancor peggio, dai lavoratori, molti dei quali si chinano servilmente accettando ogni compromesso propostogli, come affetti da una latente sindrome di Stoccolma. Per uno Stato che ripudia la guerra come l'Italia, è quasi paradossale che la sicurezza economica un giovane, la debba ricercare proprio arruolandosi nell'esercito, che sembra essere ormai l'ultima spiaggia per molti ragazzi demoralizzati, che preferiscono la scelta più facile, per sublimare la rabbia nei confronti di un sistema errato.

E lo Stato italiano dov'è? Quale futuro, dunque, per noi cittadini di questo terzo millennio? Forse scappare dal profondo sud o, addirittura lasciare l'Italia e, di conseguenza la terra in cui siamo nati e cresciuti, la nostra famiglia e gli affetti più profondi in cerca di una nazione in cui esiste una ipotetica soluzione che sappia da un lato incentivare le imprese in difficoltà, ma anche dall'altro porre in essere delle tutele reali a favore dei lavoratori.

Dovremmo essere capaci di svestire i panni di vittime croniche, di quelli che si accontentano e vestirci di nuova dignità e amor proprio, riappropriandoci del vero significato della parola “lavoro”. Quello a cui dobbiamo tendere e lottare per realizzare, quindi, è un’organizzazione che non alimenti le antitesi ma sappia sintetizzare armonicamente le diverse istanze con particolare riguardo a quelle dei soggetti più deboli.

Diana Gerace
Christian Basile

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