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sabato 26 febbraio 2011

TRA L'INCUDINE E IL MARTELLO


La logica della negazione dei diritti dei lavoratori, iniziata come banco di prova a Pomigliano, continua la sua folle corsa divenendo ancora più pesante a Mirafiori. Si comincia qui ingoiando la pillola amara del peggioramento dei ritmi ordinari di lavoro, dell’aumento degli straordinari e delle garanzie riconosciute in caso di malattia. Ora la nuova politica di Marchionne supera se stessa perché, oltre ad ammettere ritmi ordinatari di 10 ore se la produzione lo richiede, straordinari aumentati fino a 120 ore annuali, pause ridotte, limiti alle assenze per malattia, sono stati intaccati i diritti alla rappresentanza sindacale e di sciopero.

Saranno riconosciute soltanto le strutture sindacali firmatarie dell’accordo e scompare la rappresentanza diretta dei lavoratori, con l’eliminazione delle rsu (i sindacati di fabbrica), eliminando così qualsiasi tipo di opposizione alla linea imprenditoriale imposta. Per completare questo triste quadro, i sindacati che sciopereranno contro le nuove regole potranno essere puniti con l’annullamento dei permessi sindacali; mentre i lavoratori, che firmeranno personalmente il contratto, se sciopereranno contro di esso potranno andare incontro a licenziamento.

Tutto ciò è stato possibile grazie all’uscita della FIAT da confindustria, riuscendo a slegare la politica dell’impresa dal “limite” del contratto nazionale, americanizzando così il sistema di produzione, in seguito all’acquisto della Chrysler e giustificando il tutto con un vago investimento da un miliardo di euro per la produzione di suv.

Il ricatto quindi era chiaro già da quando si era posto il referendum, poiché la vincita del no avrebbe portato alla delocalizzazione della produzione, con la perdita del lavoro di chi era chiamato a votare, mentre il si ha di fatto legittimato una politica totalmente cieca di fronte ad ogni istanza di tutela dei lavoratori. Non possiamo però tacere i risultati referendari che hanno dimostrato come quasi la metà dei votanti ha messo a rischio le normali garanzie legate ad un posto di lavoro pur di difendere la propria dignità: il si ha vinto per una manciata di voti (appena il 54%)

Sia Pomigliano che Mirafiori si sono rivelate così il trampolino di lancio a favore di una politica imprenditoriale legittimata ad imporre le proprie regole e a decidere anche la sua controparte. Il pericolo concreto è ora quello dell’allineamento a questa politica di un intero sistema imprenditoriale, già di per sé marcio, per far fronte alla competizione globale.

Va detto peraltro che tutto ciò, su un piano rigorosamente formale, avviene in barba a leggi ordinarie (lo statuto dei lavoratori ad esempio) e prima ancora alla Costituzione che, sebbene funzionale ad una Stato liberal-capitalistico, riconosce garanzie inviolabili, come quelle legate al diritto di sciopero o alla dignità della persona.

E di fronte al disconoscimento delle briciole che con fatica nei decenni i lavoratori hanno conquistato, eloquente si è rivelato il ruolo dello Stato, che si è mantenuto totalmente estraneo alla vicenda, facendo di fatto il gioco degli interessi economici che hanno mosso le fila di questo cambiamento epocale, che si inquadra a sua volta non in un ambito meramente nazionale ma, com’è facilmente intuibile, in un assetto economico internazionale votato ad una sempre maggiore competitività delle imprese, senza confini di sorta o limiti derivanti dai preesistenti sistemi di contrattazione, ferma restando la non piena efficacia degli stessi.

Tale situazione dunque è solo la continuazione di precisi progetti economico-sociali volti alla riduzione dell’uomo a mero mezzo per il raggiungimento di obiettivi di produzione e di accumulazione del profitto. Una reale presa di coscienza non può avvenire quindi solo in presenza di queste situazioni limite ma deve rivolgersi ad un sistema di base che le ammette e le giustifica come sue normali conseguenze, prevedendo la funzionale contrapposizione dell’imprenditore capitalista ai lavoratori.

Sono questi ultimi che, in quanto forze di produzione, dovrebbero essere messi nella condizione di fornire il proprio apporto a favore della comunità e non, come accade, a vantaggio dell’imprenditore che sfrutta illegittimamente il loro lavoro. Rovesciando le carte e astraendosi dalle regole imposte da una politica occidentale fallimentare, in quanto mossa da “valori” artificiosi ed estranei alla persona, un sistema imprenditoriale accettabile deve prescindere dalle logiche imposte dall’attuale sistema economico e strutturarsi in modo che la gestione dell’attività produttiva sia svolta da chi di fatto se ne occupa, ossia dagli stessi lavoratori.

Vincenza Bagnato
Giuseppe Pennestrì

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