Una delle nostre linee di tenuta, fin dalla nostra nascita, è
sempre stata quella di non partecipare alla farsa elettorale, principio che
vale anche per le imminenti elezioni regionali siciliane del 28 0ttobre 2012.
Possiamo cogliere l'occasione per spiegare le motivazioni di tale scelta,
cercando accuratamente di evitare le discussioni da bar del tipo "sono
tutti uguali" o "sono tutti una massa di ladri", che se pur vere
in certe occasioni - le ultime vicende della giunta regionale laziale lo
dimostrano- a nulla servono per definire una posizione che vada oltre una
banale superficialità.
Si è
sentito spesso parlare, in innumerevoli occasioni, del pericolo che corre la
democrazia in Italia, di una incessante situazione di grave "emergenza
democratica". Ciò non è assolutamente vero. La democrazia in questo Paese
non è mai stata in pericolo, perchè non è mai esistita.
E' una
finzione che si rinnova continuamente. Nel sistema delle convenzionali
pseudo-democrazie occidentali, il potere politico esercitato dai parlamenti è
esclusivamente unidirezionale.
Per intenderci meglio: se una determinata
decisione politica riguardante la vita di interi popoli cade dall'alto verso il
basso, essa per uno strano cortocircuito democratico non fa il percorso
contrario, dal basso verso l'alto. Il risultato è che il popolo chiamato ad
eleggere i suoi rappresentanti è di fatto estromesso totalmente dalle
importanti decisioni che essi prendono.
Nessuno ha mai chiesto agli italiani,
per esempio, se volessero l'Unione Europea, Maastricht, l'Euro, il trattato di
Lisbona etc... Nessuno ha mai chiesto ai siciliani se volessero un ponte sullo
stretto, le trivellazioni in val di Noto, o il Muos il nuovo sistema radar che
uccide.
Il
malinteso da risolvere per la maggioranza degli italiani è che la repubblica
non è fondata su un reale principio democratico ma su un astutissimo quanto
spregevole regime di scelte condizionate che investe ogni aspetto della vita
quotidiana.
L'apice
di questo condizionamento in politica, si risolve con il momento elettorale.
Nel
caso specifico delle elezioni siciliane, questo condizionamento diventa ancora
più evidente in virtù di ragioni ben conosciute, tutte dettate dalle forze in
campo e dalla loro indubbia capacità d'imporsi. Lo strumento per mantenere lo
"status quo" è sempre lo stesso e fa leva sulla reale paura di
un'intera popolazione: il lavoro. Il terrore della miseria che paralizza le
coscienze rendendole del tutto permeabili ad ogni tipo di messaggio di finta
soluzione.
Il
problema principale in Sicilia -e con qualche protagonista diverso nel resto
d'Italia- è il vuoto politico frutto di una vera e propria spartizione di
potere tra politica e mafia. Alla prima il consenso, alla seconda il
territorio. Una favorisce l'altra e viceversa.
Attraverso la politica il cancro
mafioso posiziona le sue pedine ai posti di comando conquistando la gestione
del territorio, di contro la politica può accedere al consenso oppurtunamente
condizionato di queste intere sacche di territorio. Non diciamo nulla di nuovo,
visto che questa spartizione è vecchia quanto la repubblica.
A peggiorare la
situazione si aggiunge anche la fitta rete clientelare ordita ad ogni livello
della società, sia per il ricco come per il più povero, tutti alla ricerca del
santo in paradiso. A livello nazionale basta sostituire la mafia, con il potere
finanziario dei colossi bancari, il nodo scorsoio degli
accordi economico-militari internazionali e il gioco è fatto.
In
entrambi i casi il popolo subisce la volontà decisionale non avendo nessuna
voce in capitolo, salvo nel momento
elettivo in un surrogato totalmente inutile di democrazia.
L'inganno
in cui l'elettore s'imbatte è nell'assecondare quel pensiero che vuole il
politico come solo strumento di una buona amministrazione, di una sorta di
onesto e preciso burocrate dei servizi esistenti. E' falso.
Alla politica deve
spettare anche il compito di scegliere il modo con cui intervenire nella
società, le linee fondamentali della sua gestione, ed è proprio in questo snodo
fondamentale che la politica ha abdicato e il popolo viene tagliato fuori,
lasciandolo invece "libero" di scegliere quale ordine di burocrati
dovrà gestire un sistema che non dovrà cambiare.
Ogni elezione, siano politiche
o amministrative, non fa altro che mantenere e rinnovare questo schema fisso.
Si
potrebbe attribuire a questa linea di pensiero il pericolo di non permettere,
con il proprio rifiuto, l'avanzata nei punti decisionali di forze realmente
alternative. Questo punto di criticità, potrebbe rivelarsi vero, qualora
esistano effettivamente delle forze in campo capaci di rompere questo circolo
vizioso.
In tutto il territorio italiano e quindi locale non esiste ad oggi
nessuna componente in grado di ricoprire questo importante ruolo. Tutt'al più
esistono gruppi minoritari o singole individualità la cui azione in questo
senso si muove su un piano di semplice contingenza -ed è già un risultato- ma
niente di più.
Questa
posizione che senz'altro può apparire intransigente, non deve essere intesa
come un rifiuto del principio democratico in sé stesso che vede il popolo
realmente partecipe della vita politica, ma è l'esercizio del nostro sacrosanto
diritto di non porgere il fianco a finzioni, strumentalizzazioni, meschini
accordi, ipocrisie, spartizioni di potere e poltrone di chi dice di voler
cambiare la Sicilia, ma che sarà soltanto un altro "passacarte" la
cui sfera d'influenza finisce dove ne comincia un'altra.
Perchè
dovremmo sottoporci a tale falso meccanismo? Perchè dovremmo chiamare libertà o
democrazia qualcosa che non si avvicina neanche lontanamente al loro
significato? Solo perchè esiste un'urna elettorale dove infilare il proprio
diritto? E perchè lo fai tu elettore?
Per amicizia? Per dovere civico? Perchè anche tu intravedi la possibilità nelle
elezioni di barattare il tuo voto? Non basta.
È perchè teniamo a quel principio
che prevede la partecipazione attiva e diretta del popolo alle decisioni di un
paese, siano esse di qualunque natura, che non possiamo accettare il richiamo
di una menzognera cabina elettorale. Non vogliamo gli avanzi della loro
democrazia.
Avremmo
potuto parlarvi in queste righe di percentuali e sondaggi che non avranno alcun
valore una volta varcata la soglia dell'ARS, delle possibilità di vittoria di
un Crocetta o di un Musumeci, ma lasciamo questo compito a uno qualunque dei
quotidiani dalle cui pagine -se avete stomaco- leggerete dei fieri candidati,
del loro guardarsi in cagnesco negli incontri ufficiali, e mai delle loro
strette di mano per la divisione delle poltrone quando nessuno vede.
Nel
frattempo le solite minacciose "nuvole" coprono ancora il sole di
Sicilia.
Giuseppe Pennestrì