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venerdì 18 gennaio 2013

É "stato" la mafia


“I vertici istituzionali e politici del tempo, dal Presidente della Repubblica Scalfaro ai Presidenti del Consiglio Amato e Ciampi hanno sempre affermato in tutte la sedi di non avere mai, in quegli anni, neppure sentito parlare di trattativa. Penso che non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto”. Queste le dichiarazioni dell’attuale Presidente della Commissione Antimafia Pisanu in merito all’inchiesta sulle stragi del ’92-’93.
Sono passati un paio di decenni da uno dei periodi più oscuri che ha insanguinato il Paese e, se da un lato sembra scontata (ma per nulla giustificabile) la volontà di un uomo di Stato, quale è Pisanu, di non far chiarezza su tutto, dall’altro appare piuttosto limitante soffermarsi solo su episodi come “la presunta e tacita intesa tra le parti in conflitto”. Il riferimento è chiaramente rivolto alla trattativa tra Ciancimino e alti gradi dell’Arma dei Carabinieri sul famoso “papello”, ovvero le richieste avanzate dalla mafia subito dopo le stragi.  Ma questo è forse uno degli ultimi passaggi che porta a delle riflessioni. Quanto la politica poteva stare fuori da certi meccanismi? E in più, poteva uno Stato degno di tal nome scendere a compromessi o trattare con un altro potere come la mafia? A tali domande un comune mortale dotato di propria libertà intellettuale, si sarà già dato delle risposte, per quanto amare. Fin dalla sua ascesa, l’organizzazione mafiosa si è avvalsa della connivenza dello Stato e, quindi, della classe politica, dominata in quegli anni dalla DC che si è appunto servita dei favori (e dei voti) della mafia per accrescere il proprio potere. Basti pensare ai processi “aggiustati”, alle concessioni edilizie e a tutto un sistema che muoveva un giro d’affari talmente spropositato da arricchire pochi a scapito di un popolo, quello siciliano, totalmente asservito a tali logiche. Senza addentrarsi troppo in questa controversa pagina di storia ormai nota a tutti, oggi, uno Stato “giusto” (che non c’è), dovrebbe condannare piuttosto che sminuire o giustificare quella che fu una condotta criminale complice di innumerevoli perdite umane e del degrado culturale in cui versa oggi la Sicilia, permeata in ogni suo strato di quella mentalità mafiosa colpevole di influenzare l’atteggiamento di ogni singolo individuo in ogni gesto quotidiano. Finite le stragi e le guerre armate (per fortuna), resta ancora forte quella cultura mafiosa, presente dai livelli più bassi della società ai palazzi del potere, quella che ogni siciliano che si ritenga libero e padrone della propria terra e del proprio futuro deve combattere per far rinascere la cultura della legalità che solo alcuni grandi come Falcone e Borsellino ci hanno lasciato in eredità affinché il loro esempio rimanga vivo nel cuore di chi crede.

G. Raffa



"L'impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall'impressione suscitata da un dato crimine o dall'effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull'opinione pubblica"

Giovanni Falcone

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