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giovedì 22 novembre 2012

COMPIACIUTA ATTESA DEL NULLA



E' finita. Finalmente. Gli abitudinari dell'urna hanno placato la loro fame, "grilli" non attraversano più lo Stretto e vecchi e nuovi maestrini di educazione civica in preda a terrori mistici, non vedendo più i quattro cavalieri dell'astensionismo annunciare la fine della democrazia, hanno smesso di dar lezioni su quanto sia utile, giusto e santo recarsi a votare.

Con il 30,47% dei voti i siciliani hanno in Rosario Crocetta il nuovo nome su cui sfogare i lamenti dei loro malanni. Adesso che i vincitori inaugurano la "nuova" politica e gli sconfitti si leccano le ferite meditando vendetta, nel più deprimente e squallido teatrino politico del Mediterraneo le urla della campagna elettorale lasciano il posto al silenzio dell'attesa su chi saranno gli "unti" da Crocetta che potranno fregiarsi del titolo di assessore.

Terra di esperimenti politici, la Sicilia ha da sempre anticipato, o ne è stata la prova definitiva, i futuri equilibri che poi si sono formati a livello nazionale. Il centrodestra è quasi sparito dalla circolazione -ed era anche ora- lasciando l'ex sindaco di Messina Buzzanca senza più nulla da rovinare, mentre per le truppe di FLI, dato il fallimento elettorale e la natura del loro leader, parlare di futuro è ormai fuori luogo.

Nell'altra sponda di questo triste e inquinato mare, il PD rinsalda l'asse con l'UDC e già si parla di futuri ministri di governo figli di questo Frankenstein della politica, mentre le forze di sinistra -ammesso che non si siano estinte- devono ancora capire cosa vogliono essere nel 2012.

Vi sono due dati che queste elezioni hanno evidenziato: il risultato già annunciato del movimento 5 stelle e quello dell'astensionismo.

Per i primi è forse giunto il momento della verità e adesso dovranno dimostrare di avere quella maturità politica che finora è mancata che va ben oltre il compito di scompigliare un po' le carte in tavola. Ma nel loro percorso devono necessariamente tenere in conto che la
Sicilia non è Parma. 

L'astensionismo record è stato invece l'assoluto protagonista della scena, non ha votato infatti più della metà dei siciliani.
Quest' ultimo dato può essere inteso positivo solo se dietro tale scelta vi sia una riflessione che vada oltre quel colpevole disinteresse che accompagna i disastri politici e sociali in ogni angolo di Sicilia.

Immancabile è stato quell'entusiasmo idiota figlio della percentuale del dopo elezioni, che fa gridare già al cambiamento, al vento che sta cambiando, ignorando che i numeri sono una cosa e il popolo siciliano e l'ARS un'altra. 

Come se bastasse un volto e un nome nuovo o il naturale mutare delle bandiere politiche a cambiare in meglio la sorte di questa disgraziata terra. 
Se è pur vero che è necessario un totale cambiamento di rotta, questo deve passare dall'intima volontà del popolo siciliano. 

Ma forse aveva ragione quel "Don Fabrizio", uscito dalla penna di Tomasi di Lampedusa , che insisteva a dire: "i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi". 

Che bell'isola sarebbe quella che avesse la forza e la capacità di smentire quel tal "Don Fabrizio".

Giuseppe Pennestrì

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