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martedì 20 novembre 2012

I palestinesi sono più forti


Guerra in atto. Non solo a Gaza, ma anche nella West Bank.
Il risveglio della gente non si sente solo nell’aria ma anche nelle piazze, ai check points e vicino alle colonie Israeliane.
Il grido forte di questi giovani non è solo di dire basta a quest’occupazione ma di dimostrare la propria solidarietà ai cittadini e fratelli di Gaza.
Da mercoledì 14 da quando sono iniziati gli scontri ci sono state manifestazioni a Ramallah, Nablus, Qualandia, Ofer e Betlemme.
Proteste e scontri in particolare a Qualandia dove la presunta uccisione di una neonata da parte di un gas lacrimogeno ha scatenato una vera e propria guerriglia urbana con lancio di pietre ed esercito israeliano in azione nel campo profughi.
Gli scontri stanno continuando anche adesso e i protagonisti solo loro: i giovani.
Migliaia di ragazze e ragazzi che tirano pietre, rialzano la bandiera palestinese e urlano slogan contro gli occupanti. Urlano che non ci stanno, gridano la loro solidarietà ai fratelli e le sorelle Gazawi.
Qualcuno parla di una terza intifada, altri richiamano e incitano il popolo Palestine a rialzarsi per i propri diritti. Dal 2004 la situazione economica in particolare a Ramallah si è distesa, tanti soldi girano e il benessere ha contribuito alla normalizzazione di quest’occupazione che continua a farsi sentire in tutte le sfere della vita quotidiana. Si sono create delle bolle di normalità in tutta la West Bank che adesso, con il ritorno della guerra a Gaza, stanno esplodendo lentamente ma con forza.
I giornali internazionali tacciono, probabilmente non vogliono “impaurire”, non vogliono allarmare la gente che tranquilla continua la sua vita di tutti i giorni. Ma allora cosa vuol dire informare? Ieri e oggi hanno bombardato a Gaza la sede sei giornalisti, un attacco mirato, voluto e cercato.
Dobbiamo svegliarci e sentirci tutti responsabili per le atrocità che stanno accadendo a Gaza. Uno stato che si definisce l’unica democrazia del Medio Oriente sta deliberatamente attaccando un popolo che è stato soggiogato e privato di ogni dignità e diritto umano. Le guerre non sono mai paritarie e questa ne è un esempio clamoroso. Siamo tutti partecipi e tutti stiamo guardando mentre Stati Uniti ed Europa acclamano il diritto di difesa di Israele mentre quello Palestinese e dei gazawi sembra non esistere quasi che non fossero umani, quasi che si meritassero di morire.
Mi chiedo costantemente cosa avrei deciso di fare se fossi nata e cresciuta in Israele. Avrei anch’io una camicia color cachi addosso e un fucile in mano pronta ad andare a sparare al nemico, al “terrorista”, pronta a morire per la mia patria?
Guardo Renen con i suoi occhi color cenere e la sua pelle olivastra. Lui ha fatto una scelta di vita forte e radicale. Ha detto basta alla propaganda che gli hanno sottoposto per anni nel suo kibbutz a sud di Israele, si è fatto delle domande sul popolo che abitava prima questa terra e ha chiesto risposte chiare che nessuno gli ha mai dato. Non voleva fare il servizio militare ed è stato diseredato dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua comunità.
Renen che è uno degli anarchici contro il muro, gruppo di attivisti Israeliani che cerca di promuovere un po’ di awarness nella società Israelita attraverso manifestazioni, azioni di boicottaggio e partecipando a manifestazioni in tutta la Palestina. Lui due giorni fa era tra quelli che gridavano “Gaza will Prevail” in piazza Habima a Tel Aviv mentre suo fratello si preparava a riprendere le armi in mano e andare a combattere per il suo paese. Sua madre grida che non importa se lui morirà perché lo farà per salvare la sua patria. Due fratelli, stessa infanzia, stessi genitori, stesso ambienti e due scelte opposte.

Suono di tastiere in movimento, cervelli e cuori in tormento, occhi spossati da pianti e vissuti che è difficile da manifestare. Questa è la situazione nella casa dei cooperanti italiani tornati ieri da Gaza. Voglia di cooperare davvero e di essere tra la gente di gaza, di essere lì con loro per raccontare da vicino, per non lasciarli soli. Lo shock emotivo è forte e non si può digerire in due giorni. Forti nel voler gridare al mondo quello che sta succedendo a Gaza e in tutta la Palestina.
Guardo questi giovani con le kefie fasciate in torno alla testa, i loro occhi profondi, la loro grinta nel tirare pietre agli occupanti chiusi nelle loro camionette e dietro corazze di mitragliatrici e scudi. Corrono e incitano slogan di libertà e giustizia. Queste nuove generazioni hanno vissuto dei ricordi dei loro nonni di una Palestina libera, sono cresciuti nell’ombra delle lotte dei loro genitori che hanno vissuto entrambe le due intifade, sono i protagonisti di un’occupazione quotidiana che li fa aspettare due ore al check point per poter andare all’università. Possono fare finta che non ci sia, possono coccolarsi comodi in questo finto benessere economico che nasconde e porta in secondo piano la situazione, ma non riescono a dimenticare la verità. Sono chiusi in una pentola pressione che può esplodere in ogni momento.
Gaza, un’altra guerra. Una guerra che forse per la prima volta è stata trasmessa attraverso internet e twitter, facebook, foto istantanee, grida di parole che chiedono risposta e giustizia.
Viviamo in un’epoca piena di contraddizioni e bellezze. Abbiamo il privilegio di avere accesso a più informazioni (anche se sfruttate) che in passato, di sentirci connessi e vicini a quello che succede dall’altra parte dell’emisfero.
La guerra di Gaza ci ha permesso di sapere che 2 secondi fa un bambino di 18 mesi ha perso la vita, che 2 ore fa 18 membri di una stessa famiglia sono stati sterminati, ma ci permette anche di vedere attivi in ogni parte del globo esseri umani che da Parigi ad Hong Kong dicono basta, gridano, urlano e si fanno arrestare in nome di un popolo che è forte, che ha già vinto, che combatte e rimane umano nonostante tutte le sofferenze che ha e sta provando.
Correte, correte cari Israeliani nei vostri tiepidi e sicuri bunker. Correte quando suonano le sirene e poi tornate a bere tranquilli i vostri caffè. Siete voi i perdenti, qui proprio a 50 km dalle vostre spiagge ovattate c’è un popolo che forte resiste, c’è una Palestina che si sta rialzando e che sta lottando per ritornare libera. E noi siamo con loro: ieri, oggi, domani per sempre.

Da Ramallah
Sara Datturi

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