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sabato 25 febbraio 2012

EPPUR (QUALCOSA) SI MUOVE


La crisi indotta di cui si parla ha portato a riforme che hanno avuto ricadute non sul sistema bancario-finanziario, causa della crisi stessa, ma sulla gente comune, su chi è vittima di questa situazione di sbando totale e che ora è chiamato a pagarne il prezzo più caro. Con i rincari sulla benzina e sui generi di consumo, con la messa a repentaglio del futuro di un’intera generazione.

E la storia insegna che, quando la stessa possibilità di vivere in modo dignitoso viene meno, una reazione è del tutto normale.

E questa reazione si è avuta, è partita dall’isola che conosce già troppo bene il prezzo delle privatizzazioni feroci e dell’assenza di una politica volta al bene comune. È partita dalla Sicilia e chi si è fermato non aveva niente da perdere: sono stati i pescatori di una terra martoriata dalle raffinerie e dalle trivellazioni petrolifere; sono stati gli agricoltori abbandonati alla feroce concorrenza mondiale, i quali devono fare i conti con importazioni senza senso che rendono superflui i loro prodotti e ne fanno crollare il prezzo; sono stati gli autotrasportatori, costretti ad un lavoro massacrante e che ora ha costi non più sostenibili a causa dell’aumento del prezzo del carburante.

E sono proprio questi ultimi che hanno determinato i disagi maggiori, perché senza quell’oro blu, ormai così caro, si ferma davvero tutto. Disagi che hanno certamente riguardato la gente comune (effetti collaterali e inevitabili del blocco) ma che sono stati di particolare entità soprattutto per chi lucra sulla benzina.

È anche per questo che i media nazionali si sono ben guardati dal diffondere la notizia e darle la giusta rilevanza. L’estensione di questa protesta, che ha toccato in particolare anche Calabria e Campania, fa paura, è un elemento di destabilizzazione all’interno del gregge, chiamato a pagare in silenzio e a belare indignazione solo verso i fatti che non lo riguardano ma su cui si concentra il regime mediatico.

È bene evidenziare come la “primavera siciliana”, con l’ormai famoso “movimento dei forconi”, è iniziata da lavoratori che si sono fermati perché la situazione attuale non permette più di andare avanti e che rivendicano semplicemente provvedimenti contingenti, come un abbassamento dei costi della benzina.

È chiaro quindi che non si è trattato di una “rivolta politica” in senso stretto, non siamo di fronte ad un movimento che abbia un programma politico-economico alternativo.

Ma l’attenzione di questo risveglio popolare certamente può essere estesa alle cause che stanno alla base della situazione odierna. Perché un sistema sociale mosso dal forte potere economico non può funzionare se non a discapito della gente, di chi lavora.

E le riforme lo confermano: la disoccupazione dilaga; il lavoratore è sempre più schiavo, i suoi diritti di base stanno venendo sempre meno e, nonostante questo, è fortunato, perché almeno un lavoro ce l’ha, magari part-time o a tempo determinato, ma ce l’ha; servizi fondamentali, come sanità e istruzione, subiscono continui tagli; le tasse aumentano e le pensioni diventano un miraggio.

Di sicuro c’è chi avrà cercato di affossare questa protesta, di screditarla, gridando ai fascisti o ai comunisti o alla mafia e ancora, chi ha voluto strumentalizzarla per fini politici. Niente di nuovo, questo doveva essere messo in conto e bisogna esserne coscienti e debellare queste intrusioni.

Ma un cambiamento può essere possibile solo per chi lealmente e realmente ci crede.

Vincenza Bagnato

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