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martedì 23 novembre 2010

La ricerca muore..

Occuparsi della ricerca scientifica italiana non è compito affatto semplice.Ci si trova davanti un sistema completamente disorganizzato, incapace di vedere e ragionare in una seria prospettiva scientifica, causata da una cronica mancanza di un serio programma di ricerca e istruzione. A conferma delle nostre parole basta prendere in considerazione i maggiori protagonisti della ricerca italiana, i ricercatori. Sul loro operato le università riescono a garantire il funzionamento e l'offerta didattica proposta, pur percependo uno stipendio, per i più fortunati, inferiore a quello degli associati (professori di 2° fascia). Per i ricercatori non esiste una tariffa precisa ma dipende dai fondi che la singola università riesce ad avere. 
Tale situazione è generata da una classe dirigente politica ed economica che non conosce il mondo della ricerca o peggio non riesce proprio a comprenderlo. Se il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo,nomina un oncologo di 85 anni alla presidenza dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, ignorando un intero settore di fisici sicuramente più preparati di quanto lo possa essere Umberto Veronesi, si intuisce che qualcosa non va per il verso giusto.
La ricerca italiana fin da troppi anni vive in condizioni di assoluta precarietà dovuta alla mancanza di fondi da destinare alle varie università. Fin troppe volte gli atenei italiani e di conseguenza la ricerca hanno dovuto sopportare tagli su tagli, fino ad arrivare praticamente al collasso, con la banale e insufficiente scusa della mancanza di risorse. Salvo poi scoprire l'esistenza di una legge varata dal ministro Tremonti la 326 del 2003 art.4, grazie alla quale nasceva l'Istituto Italiano di Tecnologia. La spesa per quest'istituto privato è di 50 milioni per il 2004 e di 100 milioni per ciscuno degli anni che vanno dal 2005 al 2014. Mentre il finanziamento alle università pubbliche basta soltanto a pagare gli stipendi. 
La progressiva infiltrazione di interessi politici hanno reso gli organi di ricerca più importanti del Paese, come il CNR il cui consiglio d'amministrazione è in gran parte di nomina politica, dei pesanti carrozzoni, dove se non fosse per l'impegno e il genio di qualche serio professionista risulterebbero già inservibili.
In tutta questa situazione emerge però una riflessione d'altro tipo, che riguarda la natura stessa della ricerca e quale obiettivo essa debba prefissarsi. E' opinione comune anche di molti ricercatori, che essa debba servire soprattutto allo sviluppo economico di un paese. Se fosse così perchè non dovrebbe anch'essa seguire le direttive economiche moderne? In questo l'economia è chiara, ciò che non produce un immediato guadagno deve essere tagliato. Attribuire alla ricerca il primario scopo dello sviluppo economico è una precisa scelta con delle precise conseguenze. Ponendo la ricerca nel campo economico la si espone inevitabilmente ai rischi di un sistema che non punta certo agli esiti benefici di un eventuale ricerca, ma ai suoi profitti, con risultati drammatici nella sua concretizzazione. Un esempio pratico sono i fondi per la ricerca sulle malttie rare.Nel 2007 erano di 30 milioni di euro, 6 nel 2008,5 nel 2009 e 0 nel 2010. Lo studio di questo tipo di patologie e lo sviluppo di farmaci che ne consegue è un processo molto lento e non garantisce, a causa della loro bassa casistica rispetto ad altre con un'incidenza superore, i due principali cardini su cui si basa l'economia: velocità e massimo profitto. Ecco la disastrosa conseguenza se si abbina alla ricerca lo sviluppo economico.
La ricerca deve avere come suo supremo scopo non la ricchezza dei Paesi ma il benessere dei Popoli. Concetti completamente diversi tra loro. Con ciò non vogliamo astrarci completamente dalla realtà pensando ad un sistema di ricerca fin troppo romantico, risulterebbe così un'irraggiungibile utopia, diciamo soltanto che la ricerca essenzialmete subordinata all'economia è un'arma fin troppo pericolosa. Non può sostenere lo stesso sistema che ora la uccide. Non abbiamo difficoltà a sostenere anche con una certa dose di cinismo e sicuri di crearci qualche nemico, che se la ricerca deve continuare a sostenere direttamente le teorie globali del massimo guadagno è meglio che si fermi qui. L'eventuale riforma proposta dal ministro Gelmini non fa altro che rendere ancora più precaria la ricerca. L'eventuale approvazione di tale riforma deve essere vista non come una sconfitta da cui ritirarsi ma come punto di partenza da parte di ricercatori e studenti per la rivendicazione di diritti quotidianamente traditi. La reazione che ha portato in strada migliaia di studenti e professionisti non deve arrestarsi, non deve dipendere dalle sorti di una riforma.

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