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sabato 23 marzo 2013

No al rigassificatore, con tutte le nostre forze



Dal Piemonte alla Sicilia la megalomania delle grandi e devastanti opere scuote tutta l’Italia. La scuote perché da nord a sud il messaggio di gruppi sempre maggiori di gente si fa sentire limpidamente da anni, opponendosi agli scempi imposti. E in questo quadro s’innesta l’ennesima cattedrale in un deserto fatto di disoccupazione, precarietà e in cui quindi domina il famoso ricatto lavoro-salute, con la consapevolezza per chi investe che la fame del lavoro porterà a bendarsi gli occhi su tutto il resto. Così nella piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, con la complicità delle amministrazioni regionali di destra e di sinistra (da Chiaravalloti, a Loiero, a Scopelliti) si è dato corso all’iter per la costruzione del più grande rigassificatore d’Europa, con una portata di 12 miliardi di metri cubi di gas. Una bomba ad orologeria che prenderà il posto di 47 ettari di agrumeti, in un territorio già devastato dalle scorie radioattive sotto il terreno e nel mare, di cui nessuno sa niente (salvo mafia e Stato ovviamente), da due inceneritori di cui uno in fase di costruzione, e ancora da una centrale elettrica e da una biomasse. Un martoriamento continuo di un territorio che riceverebbe il suo colpo di grazia con una struttura che ha il solo scopo di far transitare il gas dalla Calabria verso il nord Europa, interessi meramente economici quindi. In breve, l’impianto trasformerebbe il gas proveniente dalle navi metaniere dallo stato liquido (GNL) allo stato gassoso, per permetterne il trasporto via terra mediante dei gasdotti. Tutto ciò utilizzando l’acqua del mare che verrebbe poi riscaricata ad una temperatura inferiore di 7 gradi e arricchita di candeggina, con un impatto devastante sull’ecosistema marino, oltre che sulle attività turistiche dell’intera costa e sulle attività di pesca che saranno totalmente stroncate. Le tubature che permetteranno il passaggio del gas dalla nave all’impianto oltretutto si troveranno a 100 metri da una scuola elementare, l’impianto a qualche centinaio di metri dai centri abitati.

I buontemponi della Lng Medgas terminal (società creata da Sorgenia -gruppo Cir- e dalla Iren) così come qualche giornalista prezzolato, parlano di “grande opportunità occupazionale”, conoscendo bene le necessità del territorio, ma ammettono essi stessi che i posti di lavoro dell’impianto, una volta costruito, saranno a mala pena cento e altamente specializzati. Tutto ciò a fronte dell’affossamento di interi settori economici, da quella agricolo, a quello turistico, a quello ittico e, non ultimo, del vicinissimo porto di Gioia Tauro, che dovrà sospendere le sue attività per un periodo complessivo annuo di 4 mesi, aggiungendo altri problemi ai migliaia di lavoratori già ora in cassa-integrazione.
Un opera che per legge rientra tra quelle "a rischio di incidente rilevante", in un’area altamente sismica, una delle zone rosse d’Italia, già distrutta da terremoti devastanti (l’ultimo in ordine di tempo nel 1908). Ma forse i signori della Lng e i vari politici che negli anni hanno prestato e prestano il braccio a questa follia non tengono conto che nel caso di esplosione di una cisterna si raderebbe al suolo mezza Calabria, poiché la nube incendiaria avrebbe un raggio di ben 55km.
D’altronde lo stesso Consiglio superiore dei lavori pubblici (massimo organo tecnico in merito a costruzioni di opere pubbliche) ha bocciato per ben due volte questo progetto, in quanto gli studi presentati risultano “incompleti e non definiti con l’estensione e gli approfondimenti necessari all’espressione di un compiuto parere sulla fattibilità dell’opera”. Good morning! Non c’è stata un'adeguata valutazione di impatto ambientale e gli unici studi effettuati sono della stessa società concessionaria, la Lng appunto.

Non sarà stato neanche un caso oltretutto che proprio nel momento delle firme autorizzative per la sua costruzione i tre comuni pianigiani di Rosarno, Gioia Tauro e San Ferdinando (i più interessati e vicini geograficamente), fossero tutti commissariati, rendendo questi ‘sì’ assolutamente illegittimi anche per chi crede nel principio “democratico”. A fortiori, è la stessa legge italiana ed europea a richiedere come necessarie l’informazione e la consultazione popolare per gli impianti a rischio di incidente rilevante. A dire il vero delle fime per un referendum a San Ferdinando sono state raccolte nel 2009, 671 a fronte di un numero complessivo di votanti pari a circa 2800: una persona su quattro quindi ha chiesto una consultazione che non è mai arrivata, perché queste firme sono nei cassetti di Roma, dimenticate da 4 anni.

L’iter per giungere alla costruzione di quest’ennesimo mostro conta ancora delle altre fasi, la concessione demaniale da parte dell’autorità portuale, che i manifestanti sono riusciti ad evitare il 6 marzo scorso, opponendosi fisicamente e pacificamente al passaggio di chi doveva votare, è stato l'ennesimo tassello ottenuto qualche giorno fa. Intanto alcuni incontri sono stati spostati lontano, a Roma o a Milano, forse perché potessero avvenire indisturbati. Ora si spera in una commissione d’inchiesta che valuti l’impatto devastante sul territorio, sull’economia e sulla salute del posto.

Intanto, indipendentemente dall'iter istituzionale, il coordinamento di associazioni e persone, nato per gridare il suo no al rigassificatore, sarà fermo ad opporsi, non gli darà tregua e non svenderà la nostra terra.
Per aggiornamenti sulla questione visita il gruppo FB “No al rigassificatore di Gioia Tauro” (http://www.facebook.com/groups/294397410614982/?ref=ts&fref=ts) e "No rigass - Calabria" (http://www.facebook.com/NoRigassCalabria?ref=ts&fref=ts).
"Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare un coltello nella pancia, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra, ecc. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato". (Bertold Brecht)


Vincenza Bagnato

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