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mercoledì 9 gennaio 2013

PALESTINA:DALLE PAROLE A QUALI FATTI?




Dallo scorso 29 novembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto la Palestina quale “Stato osservatore non membro”, posto che fino a quel punto era stato occupato dall'ANP in quanto tale in rappresentanza del popolo palestinese. 
Questo appare come un passo importante nel processo di pace nella questione palestinese, ma non si tratta ancora del vero punto di svolta per una serie di motivi. 

Dobbiamo innanzi tutto considerare che il governo di Abu Mazen non amministra che una piccola parte del territorio riconosciutogli dall'ONU (quello entro i confini del '67) poichè da un lato (Cisgiordania e Gerusalemme Est) è in gran parte occupato, fortificato e colonizzato da Israele, mentre nella Striscia di Gaza, dopo i fatti del 2007, è Hamas ad avere giurisdizione. Di conseguenza dei "Territori" non resta altro che Ramallah e qualche altra macchia sulla cartina geografica. Pertanto non esiste alcuno Stato Palestinese, se non a parole. 

Alla luce di quanto scritto il tema dei due popoli in due Stati appare alquanto irrisorio e non sarà certo il plebiscito all'Assemblea Generale a far si che esso diventi un progetto concreto e le ragioni sono varie. 

In primo luogo di natura politica, con Hamas e Fatah che, usando un eufemismo, faticano a trovare una via percorribile insieme; la prima probabilmente è utile ad Israele più di quanto non lo siano i suoi alleati storici, come gli Stati Uniti, in quanto non accetta nessun tipo di soluzione che precluda dalla totale cacciata dello stato ebraico da tutta quanta la Palestina storica, senza eccezioni, consentendo ad Israele di avere un pretesto per rimanere ferma su posizioni altrettanto dure.

Inoltre dobbiamo tener conto del problema della divisione fisica dei palestinesi. Su 12 milioni, un milione e mezzo si trova in quel campo di concentramento a cielo aperto che è Gaza, due milioni in Cisgiordania, oltre un milione è "cittadino" e di fatto rifugiato in Giordania, 1,5 milioni vivono in regime d'apartheid la propria cittadinanza israeliana (in tutto circa il 25% dei cittadini di Israele non è composto da ebrei) mentre sono 4 milioni e mezzo i profughi nei paesi circostanti. La restante parte è invece migrata in Occidente. Di fatto non esiste, fisicamente e moralmente, una nazione palestinese dalla cui base dovrebbe scaturire la formazione di un vero e proprio Stato capace di mediare una pace con Israele, pace che non è, come già scritto, nelle intenzioni dichiarate di Hamas e dei suoi alleati e neppure, come dimostrato da fatti anche recenti, di Israele, a tutto vantaggio dell'entità sionista.

Non mancano le divisioni interne anche tra gli stessi israeliani (anche se molto meno rilevanti), con gli ebrei ortodossi assolutamente speculari agli estremisti palestinesi, la non poco numerosa (ma politicamente impotente) parte propensa ad una idea di coesistenza pacifica e con pari diritti, ed infine i già detti israeliani non d'origine ebraica sempre meno propensi ad accettare in silenzio l'essere considerati "cittadini di serie B".

Il voto all'ONU rappresenta forse l'inizio di una nuova speranza di pace, l'ennesima; ma fino a quando non si troverà unità d'intenti tra ed all'interno delle parti la pace per quella Terra sarà come l'orizzonte per i naviganti: irraggiungibile.

Jean Trouvé

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