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lunedì 21 marzo 2011

Vita e Morte..le leggi non bastano


Il 7.03.2011 la Camera dei deputati ha dato il via all’esame del disegno di legge c.d. Calabrò sul testamento biologico, già licenziato dal Senato. Il voto finale è previsto per aprile. Dunque, oramai manca poco alla tanto agognata regolamentazione delle c.d. Scelte tragiche. E così il Nostro Legislatore, dopo essersi arrogato il diritto di stabilire in quali casi ed in quali condizioni una madre può decidere di uccidere il feto che porta in grembo/ bambino, adesso pretende di stabilire in che casi è possibile rifiutare il c.d. Accanimento terapeutico. L'esigenza di una legge che possa dare certezza ed indirizzare ( rectius: imporre) l'orientamento dei singoli è nata dal dibattito che ha accompagnato la morte di Eluana Englaro, costretta per ben 17 anni a vivere da vegetale e che solo grazie ad una sentenza della Corte di Cassazione ha potuto trovare la pace e serenità della morte. La presenza di un atto contenente una espressione di volontà del soggetto che si trova in una condizione di incapacità, è necessitata dal fatto che costituzionalmente nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario in mancanza del consenso informato. Dunque, nel caso in cui ci si trova privi della capacità di prestare personalmente questo consenso a causa di malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, si potrebbe sopperire attraverso, appunto il testamento biologico, atto in cui il soggetto espressamente esprime la volontà di accettare o meno la somministrazione di farmaci, il sostentamento vitale, la rianimazione. Sennonché il disegno legge messo a punto dal Governo, partendo dall'assurda distinzione tra accanimento terapeutico e alimentazione ed idratazione forzata e considerando quest’ultimi come non interventi sanitari ma come “forme di sostegno vitali”, partendo dall’assunto che fame e sete non sono "malattie" e, quindi, gli interventi in tal senso non possono essere definiti trattamenti sanitari, è arrivato persino a prevedere l'impossibilità di poter rinunciare a idratazione e alimentazione da parte del malato, anche se cosciente e anche qualora egli avesse precedentemente disposto tale volontà a interrompere le cure. Insomma un disegno di legge che sembra ispirato più ai dettami della Chiesa cattolica che ai principi fondamentali del rispetto della dignità umana e del diritto all'autodeterminazione. Dunque, “grazie” a questa distinzione nessuno potrà essere lasciato morire di fame e di sete come è successo per Eluana, la quale espressamente aveva rifiutato qualsiasi terapia dilatoria e, dunque, anche l’alimentazione ed idratazione forzata che, occorre ribadirlo, assume le forme di un vero e proprio intervento chirurgico sanitario riservato a personale medico e quindi deve necessariamente ricadere nella definizione di "trattamento sanitario". Il testo preparato dal sen. Calabrò, inoltre, prevede il totale rifiuto di forme eutanasiche sia attive che passive (art.2 comma 1) e definisce l'attività medica "esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute" e non può in alcun caso "essere orientata al prodursi o al consentirsi la morte del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente" (art.2 comma 1). A questo punto è necessario porsi alcuni interrogativi: come può lo Stato ignorare le istanze di migliaia di pazienti -colpiti da patologie gravissime e dolorosissime come, ad esempio, i tumori- che sopravvivono tra atroci sofferenze e che vorrebbero avere diritto a scegliere una fine più dignitosa? E come può uno Stato che dovrebbe essere amico e tutore delle istanze dei singoli, imporre il concetto di dignità della vita ed influire su scelte fin troppo intime come le modalità della morte?

Diana

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