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lunedì 3 gennaio 2011

I NOSTRI MIGLIORI AUGURI

Buon Anno a tutti i nostri lettori e anche a coloro i quali ancora non ci conoscono, senza volere fare troppa retorica , abbiamo pensato di iniziare queste nostre pubblicazioni, consegnando al vostro giudizio lo scritto che riportiamo di seguito a questa breve introduzione, poiche' come da nostro stile non intediamo fare del buonismo di bassa lega o peggio ancora fare come chi mette la testa sotto la sabbia e finge di non vedere i problemi che attraversano il mondo,credendo che un tappo di champagne porti via ogni cosa. Non volendovi annoiare con le solite disquisizioni sulle cose di casa nostra ,sulle quali comunque torneremo,vi regaliamo una pagina di vissuto che possa fare riflettere su come gira il mondo.Questo repotage è frutto di dedizione , amore e consapevolezza caratteristiche spesso ormai da tempo dimenticate da una societa' che ha fatto del cuore solo un organo di sopravvivenza,perche' sopravvivere è quello che rimane ad una società cosi' putrida che non sa piu'donare ma solo acquistare. Buon Anno , per quello che vi resta.

Intediamo dedicare ,in assoluta responsabilita', questo scorcio di inizio anno e quanto riportiamo anche a chi non più Presente col suo vivere ha fatto si' che niente venga mai dimenticato,nel nostro piccolo terremo sempre un fuoco acceso.


RIPORTIAMOLI A CASA
Viaggio nel girone dei dannati. Sì, forse potremmo definirlo proprio così il viaggio che ha compiuto una delegazione formata da operatori umanitari e giornalisti, all’interno dei campi profughi palestinesi del Libano. Palestinesi, proprio loro, nel 1948 sono stati cacciati e derubati della loro terra e dalle loro case, per volontà di un “potere superiore” e arrivati in Libano da profughi, esuli, illegali, clandestini e chi più ne ha più ne metta. Dal 1975 al 1990 sono stati al centro di una devastante e sanguinosa guerra civile libanese, in cui tutti erano contro tutti, ma soprattutto contro i palestinesi (grazie anche alle prepotenze dei dirigenti dell’OLP). Inutile ricordare le numerose stragi di civili palestinesi, compiute sotto l’occupazione militare israeliana. Oggi in dodici “confortevoli” campi di concentramento e venticinque insediamenti illegali sopravvivono circa 400.000 profughi, di cui oltre 5000 sprovvisti di qualsiai documento, privi di ogni diritto e speranza, tranne quella di poter un giorno far ritorno in Palestina. Queste sono le motivazioni che hanno mosso la delegazione a compiere questo sopralluogo all’interno dei campi profughi, per verificarne le reali condizioni ed esigenze, parlare con gli abitanti, incontrare le associazioni umanitarie presenti sul territorio e i rappresentanti politici. Il tour inizia nel campo di Mar Elias, il più piccolo ma tra i più vecchi campi profughi di Beirut. Il primo incontro è con il leader del Fronte Popolare che illustra subito le condizioni drammatiche e in continuo peggioramento dei profughi, denunciando un totale abbandono da parte dell’Autorita’ (ANP). Tappa seguente il vicino campo di Burj el Barajneh, ventimila abitanti vivono in 750.000 mq. Ci si rende subito conto delle devastanti condizioni del campo, non esistono strade ma solo vicoli in cui si riesce a passare una persona per volta . La delegazione è ospite dell’associazione “Al-Ghawth” (Il Soccorso), tra le realtà più attive e presenti all’interno di tutti i campi in Libano. Ha adottato 350 orfani, gestisce asili nido, orfanotrofi, laboratori sanitari e organizza corsi di formazione professionale. Tappa seguente l’ospedale “Haifa” gestito dalla Mezzaluna Rossa che, con i suoi quarantadue posti letto e trentatré medici che si alternano giorno e notte, fornisce un’assistenza sanitaria di base a oltre 50.000 persone. La situazione sanitaria è drammatica, esiste solo un presidio per ogni campo attrezzato solo per le cure di primo soccorso. L’UNWRA (l’ente delle Nazioni Unite per i rifugiati) copre solo in minima parte le spese ospedaliere, spesso pazienti con gravi patologie restano privi di ogni cura. Le patologie più frequenti sono la talassemia, i gravi disturbi intestinali causati dal consumo di acqua salata e allergie causate dall’umidità provocata dal poco sole che arriva tra gli stretti e bui vicoli dei campi. A Burj el Barajneh come in tutti gli altri campi non esistono sistemi idrici, né fognari, né elettrici, fa bella mostra di sé la spaventosa e fitta ragnatela di fili elettrici scoperti e volanti, causa ogni anno di decine di morti per folgoramento, per lo più bambini. Altro dramma comune è l’ampliamento verticale degli edifici a causa del continuo incremento demografico. L’acqua seppur salata (contiene il 60% di sale) viene prelevata da otto pozzi scavati all’interno del campo, ogni famiglia usufruisce in media di 15 minuti di acqua al giorno. La sicurezza dei campi è garantita da una forza coordinata dai comitati popolari, al cui interno sono rappresentate tutte le diciotto fazioni palestinesi. La disoccupazione supera il 40%, quasi il 60% dei profughi lavora all’interno dei campi, poiché il governo libanese gli vieta lo svolgimento di ben settantadue professioni. Altre note dolenti provengono dal mondo dell’istruzione, nella sola Beirut esiste solo una scuola superiore per gli oltre 65.000 palestinesi che ci vivono. L’abbandono scolastico è in continuo aumento, ogni anno circa 1.100 studenti palestinesi raggiungono la maturità, solo l’8% ottiene una borsa di studio che gli consente l’iscrizione presso una delle università pubbliche permesse ai palestinesi (esclusi da quasi tutte le facoltà a indirizzo scientifico). Prima di lasciare Beirut alla volta del sud, la delegazione fa una doverosa visita al cimitero di Sabra e Chatila, teatro nel settembre del 1982 del massacro di oltre 5000 civili palestinesi ad opera della milizia cristiano-maronita delle forze libanesi, spalleggiate dall’esercito israeliano. Il giorno seguente si arriva a Tiro, tra le più importanti roccaforti sciite del sud. Nella zona di Tiro vivono 95.000 profughi distribuiti in tre campi ufficiali e dodici insediamenti illegali. Il primo incontro è con il responsabile di zona dell’UNWRA, che ricevete gli ospiti nel suo polveroso e fumoso ufficio in cui lavorano una dozzina di “stanchi” dipendenti. Il budget annuo dell’UNWRA per i profughi palestinesi è di settanta milioni di dollari, il 50% viene impegnato solo per i tremila impiegati (speriamo non tutti stanchi come quelli conosciuti), senza considerare le restanti spese di gestione che assorbono un altro 30%. In poche parole dei settanta milioni di dollari iniziali, solo una quindicina vengono realmente spesi per i bisogni e le esigenze dei palestinesi. Assurdo. Le domande sorgono spontanee tanto quanto lo sdegno per tutti questi sprechi. Sono realmente necessari tremila dipendenti? C’è buonsenso nel dare cinquemila dollari al mese a un responsabile di zona e 50.000 al capo dell’UNWRA del Libano? Purtroppo conosciamo le risposte e fa rabbia pensare che tutto ciò accada sulla pelle dei più deboli e bisognosi. Dopo l’unwra, la delegazione visita i campi profughi di El Buss e Burj el Shemaly, incontrando politici, operatori umanitari e visitando scuole, asili nido, orfanotrofi e laboratori sanitari. Anche in questo caso ciò che si riscontra è il totale abbandono delle istituzioni, dall’UNWRA all’Autorità Nazionale Palestinese che da anni ha sospeso ogni tipo di aiuto e sostegno ai profughi (se escludiamo gli stipendi e le carte di credito che non fa mancare ai suoi “colonnelli” in Libano) malgrado incassi dalla comunità internazionale centinaia di milioni di dollari. Tornando al sopralluogo suscita interesse la scoperta di un piccolo cimitero tra i vicoli bui di Burj el Shemaly, nel 1982 era un rifugio per civili che Israele bombardò, le vittime furono novanta e il rifugio divenne cimitero. All’epoca le bombe erano un po’ meno intelligenti, ma solo un po’. Riuscire a pensare o semplicemente immaginare di poter convivere in queste condizioni disperate sarebbe impossibile per chiunque, ma non per questa gente che dopo sessantadue anni di massacri, abusi e atrocità è stata sempre capace di rialzarsi e tornare a sperare. Tra riflessioni e resoconti il lavoro della delegazione continua, l’ultima tappa è la città costiera di Sidone in cui si trovano due campi profughi (En el Hilweh e MiehMieh) che ospitano 120.000 palestinesi, giunti in Libano nel 1948 e provenienti dai villaggi dell’alta Galilea. Dopo i rigidi controlli all’ingresso da parte dei militari libanesi si entra nel campo di En el Hilweh, dove in un milione di mq. vivono oltre 80.000 persone. E’ il più grande e turbolento campo profughi presente in Libano, numerosi sono stati gli episodi di violenza e scontri tra fazioni registrati negli ultimi anni. Proprio sull’aspetto della sicurezza interna i responsabili di Hamas e Fatah tengono a precisare che è stato raggiunto un accordo tra le varie fazioni e da circa un anno non avvengono più scontri, la speranza è che questa “pace” possa mantenersi. La giornata prosegue tra visite e sopralluoghi, ma tutto diventa tragicamente simile, stessa disperazione e stessa rabbia, la rabbia di chi è nato e cresciuto in un campo profughi, nella miseria e nella privazione, senza diritti e senza futuro. Pensare poi a quei benpensanti che a migliaia di chilometri di distanza, si affrettano a condannare senza mezzi termini gli atti di lotta e di resistenza che questi ragazzi compiono, poiché nessuno si è mai preoccupato di fermarsi per un attimo a riflettere e capire che a questi ragazzi nessuno mai gli ha concesso una possibilità diversa, un’alternativa. Questa gente vive grazie alla forza che nasce dall’amore per la propria terra e dalla speranza di poterci un giorno ritornare. La missione si conclude, i cinque componenti della delegazione vanno via con il cuore gonfio di rabbia, per tutto ciò che hanno visto e scoperto, per quei mille incantevoli sguardi e sorrisi che hanno emozionato e accompagnato le loro giornate intense ma indimenticabili. Il lavoro svolto in Libano servirà per organizzare forme di sostegno ai profughi, dal costante invio di aiuti (cibo, farmaci, vestiario, attrezzature ect…) all’elaborazione di progetti da attuare all’interno dei campi. Si farà il possibile per garantire ai profughi palestinesi una dignitosa “sopravvivenza” e sostenere quella speranza che insieme con loro portiamo dentro i nostri cuori… RIPORTARLI A CASA!
per Contropotere,Antonio.

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