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sabato 27 novembre 2010

LA CONTRO-RIFORMA TREMONTI GELMINI

E' bene sottolineare come la protesta dei ricercatori contro il DDL “Gelmini” trova la sua scaturigine dai ricercatori stessi, ma travalica taluni aspetti forse corporativi, e coinvolge tutta l’Università italiana, tutto il Corpo Accademico, riverberandosi sul futuro dell’intera società civile.
Il DDL, che è stato approvato dal Senato della Repubblica senza alcuna opposizione, appare strutturato, meglio, dettato, da Poteri forti e trasversali, esterni all’università, la cui punta di diamante sembra essere la Confindustria.
Le dichiarazioni rilasciate in Commissione Cultura dal Vice Presidente di Confindustria, gli articoli apparsi sul “Sole 24ore” e tutta la campagna mediatica posta in essere negli ultimi mesi, lasciano pochi dubbi sulla strategia di assalto alla diligenza attuata nei confronti dell’Istituzione universitaria pubblica.
La cosiddetta governance, che inserisce nei CdA degli Atenei un 30% di “esperti esterni” portatori di “saperi altri”, presumibilmente derivanti da un mondo imprenditoriale italiano che, dagli scandali Cirio a Parlamat, passando per lo spregio della sicurezza nel lavoro e per la “delocalizzazione” nonché la deindustrializzazione dell’Italia; ha già dato ampia prova di se e di come concepisce il suo posizionamento sociale continuando indefessamente a privatizzare i profitti ed a socializzare le perdite.
E’ altissimo il pericolo che tali CdA possano con un colpo di mano, trasformare singoli atenei in Fondazioni di diritto privato, con tutto ciò che questo comporterebbe sul piano sia dell’occupazione, sia della libertà di ricerca, sia sul trasferimento della conoscenza sugli Studenti e quindi sul Territorio.
Probabilmente lo scopo, neanche tanto recondito, è quello di impadronirsi del “giocattolo” universitario per poter fare innovazione (profitti) a costo zero, liberandosi al contempo di tutta quella zavorra culturale giudicata inutile perché non funzionale ad un immediato uso mercantile
Ad un tale stato di cose, nulla potrà eccepire il mondo accademico. Nessuno. Neanche i Senati accademici ridotti a mero Organo consuntivo e di collegamento con i Dipartimenti.
Con i Senatori ridotti a camerieri dei “sapienti altri”. Impotenti spettatori di una rovina ancora oggi evitabile.
Professori Ordinari relegati al ruolo di yes men al servizio di faccendieri, politici, forse di furbetti del quartierino di turno, in un quadro rassomigliante alla struttura della ASL e con in più la responsabilità di avere accettato la “tenure track”, squallido ed ambiguo concetto, barbarismo lessicale che, in italiano, si traduce precarietà.
La “tenure track”, assieme alla messa in esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato, è una delle chiavi di volta dell’intero DDL.
Da una parte si disconosce al ricercatore a TI la reale attività di docenza svolta a partire dal 1991 che, ricordo, è stata erogata con entusiasmo ed amore, volontariamente, senza alcun obbligo di Legge e senza nessuna remunerazione aggiuntiva.
Dall’altra si istituisce la figura del ricercatore a tempo determinato il quale, dopo sei anni di attività, o diventa professore associato o, semplicemente, non è più nulla.
A ragione una siffatta figura rischia di restare per la strada a 35 anni suonati: mi permetto di precisare che a 35 anni si arriva se, e solo se, tutti i tempi del 3+2, del dottorato e dello start time del tempo determinato, vengono elveticamente rispettati!
Diversamente, e molto più realisticamente, il DDL disegna uno scenario futuro in cui un esercito di precari senza speranza, senza un progetto di vita, e senza “paracadute sociale”, si affaccia alla mezza età con un pugno di mosche in mano, niente di realizzato. Tutto da ricominciare!
Io penso che il corpo Accademico nella sua interezza, nella sua organicità, non possa permettere che una parte di se stesso possa essere trattato in siffatta maniera. Se i Ricercatori vengono trattati come una cancrena, isolati, messi ad esaurimento, presto l’opera di demolizione passerà agli altri. A quelli che restano.
Finché il destino sarà compiuto: i ricchi si formeranno nelle Scuole private, magari on-line, dove saranno addestrati per diventare Quadri Dirigenti della nostra Italia; gli altri, gli Ultimi, impossibilitati, per mancanza di opzioni, a scegliere un percorso culturale, patiranno sulla loro pelle l’assunto che, se “Sapere è Potere”, di converso, “Ignoranza è schiavitù”
A chi maliziosamente, per mancanza di informazione o per semplice malafede, stigmatizza la protesta in atto relegandola a fatto secondario e finalizzato all’ottenimento di una ope legis per diventare professori associati, rispondo che, non foss’altro che per motivi economici, una tale evenienza sarebbe, per un ricercatore cinquantenne, una autentica iattura. Non esiste infatti il tempo materiale per poter agguantare il miglioramento economico “acquisito” se non dopo il pensionamento! E la età media dei Ricercatori italiani è 45 anni.
Insomma: se qualcuno volesse farmi un dispetto, mi nominerebbe associato sin da domani e così facendo, mi inchioderebbe sull’assegno ad personam sino alla pensione.
Appare chiaro come, in questa fase, i Ricercatori rappresentano una avanguardia del mondo accademico, la cui protesta passa anche dal mancato riconoscimento del loro stato giuridico, ma si incardina nella più generale analisi critica del DDL "Gelmini" i cui contenuti sono tali da porre la parola "fine" sulla Università Pubblica italiana.
Ed è questo il motivo per il quale a mio avviso siamo tutti, accademici e non, chiamati ad una assunzione di responsabilità.

Mauro Federico
ANDU UniMe
Rete29Aprile UniMe

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